Con sentenza n.390 del 25 ottobre 2024, il Consiglio Nazionale forense ha fatto chiarezza sui doveri dell'avvocato chiamato a far parte delle Istituzioni forensi, il quale
- deve adempiere agli incarichi e alle attività di sua competenza con diligenza, indipendenza e imparzialità ex art. 69 co. 1 codice deontologico forense, evitando di disertare le sedute consiliari senza giustificato motivo;
- deve astenersi da tutte le situazioni in cui possa trovarsi, o anche solo apparire, in conflitto con gli interessi pubblici che è chiamato a tutelare in virtù della sua carica.
I fatti del procedimento disciplinare
Un Consigliere è stato sanzionato dal CDD con la sospensione di un anno dall'esercizio della professione in quanto, pur rivestendo la qualità di Consigliere del COA, ha assunto condotte rilevanti sul piano disciplinare, tra le quali:
- ha indotto il Consiglio a deliberare l'iscrizione di oltre duecento Avocat rumeni in possesso dell'abilitazione rilasciata in Romania, nonostante la consapevolezza dell'illegittimità della procedura, derivante dalla conoscenza della sentenza dell'Alta Corte di Cassazione e Giustizia della Romania;
- ha promosso, avverso il Consiglio di appartenenza, una causa risarcitoria davanti al Tribunale civile;
- ha assunto il patrocinio, davanti al Consiglio Nazionale Forense, di n. 116 iscritti alla Sezione Speciale per l'impugnazione delle rispettive delibere di cancellazione dall'Albo Avvocati Stabiliti;
- ha omesso di partecipare per mesi alle Adunanze del Consiglio dell'Ordine, con la dichiarata motivazione del conflitto di interessi con la sua qualità di patrocinatore degli avocat rumeni, pregiudicando il buon funzionamento del Consiglio stesso.
L'incolpato ha impugnato la decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, lamentando che:
- le condotte contestate non sarebbero sussumibili nel disposto tipizzato dell'art. 69, comma 1, CDF;
- non esisterebbe alcuna disposizione di legge o deontologica che impedisca a un Consigliere dell'Ordine di assumere la difesa contro l'Ordine o che ritenga incompatibile tale attività difensiva.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio ha evidenziato che la sussumibilità delle condotte tenute dal ricorrente nel disposto tipizzato dell'art. 69, comma 1, CDF, non esclude la responsabilità disciplinare dell'incolpato per la violazione di principi generali contenuti nel titolo I del Codice Deontologico Forense. A norma dell'art. 20 CDF, infatti, "La violazione dei doveri e delle regole di condotta di cui ai precedenti articoli e comunque le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia costituiscono illeciti disciplinari ai sensi dell'art. 51, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247" (comma 1); "Tali violazioni,ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai titoli II, III, IV, V e VI del presente codice, comportano l'applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non riconducibili a tali ipotesi comportano l'applicazione delle sanzioni disciplinari di cui agli articoli 52 lettera c) e 53 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla loro entità, sulla base dei criteri di cui agli articoli 21 e 22 di questo codice" (comma 2) (n.r.).
Inoltre, il Consiglio ha ricordato che in materia disciplinare forense non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale.
Il nuovo sistema deontologico forense, infatti, è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni "per quanto possibile" (art. 3, comma 3), non essendo possibile un'individuazione dettagliata e tassativa di tutti i comportamenti anche della vita privata costituenti illecito disciplinare. Tuttavia "l'eventuale mancata "descrizione" di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l'immunità, giacché è comunque possibile contestare l'illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui "la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza» (CNF 8 aprile 2024 n. 125; CNF 22 marzo 2024 n. 86; CNF 13 marzo 2024 n. 66).
Nel caso di specie, il Consiglio ha rilevato che la costante assenza dell'incolpato dalle sedute consigliari relative alle vicende inerenti alle iscrizioni degli advocat costituisce indice della radicale incompatibilità dell'attività svolta dall'incolpato rispetto ai doveri di componente del COA e ha, pertanto, ritenuto corretto quanto ricordato dal CDD secondo il quale l'esercizio di una funzione rappresentativa dell'Avvocatura richiede un'applicazione particolarmente rigorosa del divieto di agire in conflitto di interessi ex art. 24 del codice deontologico forense. L'avvocato, pertanto, si è consapevolmente posto in una situazione di radicale contrapposizione rispetto al COA di cui era Consigliere in violazione degli artt. 9, 19 e 69, comma 1, CDF e in conflitto di interessi nel contesto dell'esercizio delle funzioni istituzionali dei Consiglieri dell'Ordine, tenendo un comportamento grave e idoneo a ledere l'immagine dell'Avvocatura.
Per questi motivi, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato il provvedimento impugnato.