Di Piero Gurrieri su Martedì, 08 Luglio 2025
Categoria: Editoriali

30 ore per stravolgere la Costituzione

Con la decisione assunta dalla Conferenza dei capigruppo del Senato, comunicata dal Presidente Ignazio La Russa, si è stabilito il contingentamento dei tempi per l'esame del disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere: trenta ore complessive, escluse le dichiarazioni di voto. Si tratta di un fatto inedito nella storia della Repubblica, che segna un punto di non ritorno nella dialettica parlamentare in materia di revisione costituzionale.

Mai prima d'ora si era proceduto a limitare formalmente il tempo del dibattito su una proposta di modifica della Costituzione, cioè sul testo fondativo del nostro ordinamento democratico. La decisione, di matrice squisitamente politica, si inserisce in un quadro già segnato da forzature e torsioni delle regole parlamentari: basti ricordare il ricorso alla cosiddetta "tagliola" in Commissione Affari costituzionali (cd. "canguro"), che aveva già compromesso la possibilità di un esame emendativo articolato.

ll contingentamento dei tempi rappresenta non solo una contrazione della fisiologia democratica del Parlamento, ma anche un segnale di allarme per la qualità del processo costituente. La Costituzione non si riscrive con il cronometro in mano. Non si emenda la Carta fondamentale come fosse un provvedimento ordinario. Si tratta, piuttosto, di un passaggio che richiede ponderazione, confronto aperto, tempo.

Ed è proprio il tempo – nella sua dimensione non solo quantitativa ma simbolica – a essere stato umiliato: trenta ore per discutere della rimozione di uno degli equilibri più delicati dell'architettura costituzionale, quello tra funzione giurisdizionale e potere politico, quello che garantisce l'autonomia e l'indipendenza del pubblico ministero, e dunque il cuore della giustizia penale nel nostro sistema.

Si fatica a trovare analoghi precedenti in ordinamenti comparabili. E si fatica ancora di più a non leggere in questa accelerazione una volontà egemonica, più che riformatrice. Una volontà che non si confronta, ma impone. Che non ascolta, ma travolge. Forse nemmeno Licio Gelli, nel suo famigerato "Piano di rinascita democratica", avrebbe immaginato tanto.