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Con l'ordinanza n. 17908 depositata lo scorso 4 luglio, la III sezione civile della Corte di Cassazione, accogliendo l'istanza di un creditore, ha revocato un atto di disposizione patrimoniale pattuito in sede di separazione consensuale dal suo debitore che, in adempimento dell'obbligo di versare quanto dovuto a titolo di assegno di mantenimento, aveva ceduto alla moglie il 50% della proprietà di un immobile.

Si è difatti statuito che l'onerosità dell'attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento; il giudice, al fine di individuare l'esigenza di uno dei coniugi di vedersi assegnato un quid per il mantenimento, deve tener conto della situazione economico patrimoniale di entrambi i coniugi, deducendola "non solo" dalla valutazione dei redditi, ma da ogni altra circostanza rappresentata da elementi di ordine economico, o suscettibili di apprezzamento economico, idonei ad incidere sulle condizioni delle parti.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda proposta da un creditore nei confronti di un uomo, affinché fosse dichiarata, ex art. 2901 c.c., l'inefficacia dell'atto con cui quest'ultimo, nell'ambito della separazione consensuale, aveva ceduto alla moglie il 50% della quota di proprietà dell'immobile adibito a residenza familiare, privandosi, in tal modo, della parte principale del suo patrimonio in pregiudizio delle loro ragioni creditorie.

Il Tribunale di Brescia accoglieva la richiesta attorea, ravvisando la natura gratuita dell'atto di disposizione, in ragione del fatto che con l'atto di separazione l'uomo si era già obbligato a versare alla moglie Euro 300,00 mensili per mantenimento del figlio minore e l'ulteriore somma una tantum di Euro 53.000,00.

La Corte d'Appello di Brescia, in riforma della sentenza di prime cure, riconosceva all'atto dispositivo natura onerosa, essendo esso inserito nell'ambito di una più ampia sistemazione solutorio-compensativa dei rapporti patrimoniali maturati tra i coniugi durante i quattordici anni di matrimonio. 

In particolare, in relazione all'accertamento dei redditi, la Corte ricostruiva quello del marito, imprenditore agricolo, sulla base della non indifferente capacità produttiva del fondo coltivato, a sua volta desunta dal fatto che per il relativo canone di affitto annuale l'uomo pagasse la consistente somma di Euro 40.000,00.

In relazione agli altri rapporti patrimoniali maturati tra i coniugi, la sentenza di merito dava risalto all'obbligo, imposto all'uomo, di versare un assegno di mantenimento a favore della moglie, al fine di garantirle la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza matrimoniale; proprio in sostituzione a tale obbligo, la parte si era vincolata a alienare la sua quota, pari al 50%, della proprietà dell'immobile adibito a residenza familiare.

Avverso la sentenza, il creditore proponeva ricorso per Cassazione, articolando una numerosa serie di motivi, tutti volti a dimostrare che non vi fosse alcuna causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale a favore della moglie in sede di separazione personale.

In particolare, il ricorrente si doleva per aver la Corte di Appello impiegato criteri incongrui per valutare lo squilibrio reddituale tra i due coniugi, così erroneamente sopravvalutando la consistenza patrimoniale del debitore; diversamente, se il giudice avesse valutato lo squilibrio dei rapporti patrimoniali tra i coniugi avrebbe certamente rinvenuto l'assenza di causa dell'attribuzione patrimoniale a favore della moglie.

La Cassazione condivide le difese formulate dal ricorrente.

In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che le attribuzioni patrimoniali attuate nello spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti fra i coniugi in occasione dell'evento di separazione consensuale, sfuggono alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" e di vendita, in quanto svelano una loro "tipicità" che, di volta in volta, può colorarsi dei tratti della obiettiva onerosità, della gratuità o dei connotati di una sistemazione "solutorio - compensativa" più ampia e complessiva. 

In particolare, l'onerosità dell'attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall'esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al mènage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano che la possibilità di qualificare l'atto dispositivo come atto a titolo oneroso dipende dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustifichi lo spostamento patrimoniale fra i coniugi.

La sentenza impugnata ha, tuttavia, compiuto diversi errori, sia nell'accertamento dei redditi del debitore (mal applicando i criteri di determinazione del reddito agrario) sia nell'accertamento della complessiva situazione patrimoniale dei coniugi.

In relazione a tale secondo aspetto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto che la moglie aveva già percepito oltre la metà dei risparmi comuni, dei titoli azionari e delle obbligazionari acquistati da entrambi i coniugi durante il matrimonio e che risultava già comproprietaria al 50% della casa adibita a residenza familiare; così facendo, i giudici di merito non hanno tenuto conto della circostanza secondo cui al fine di individuare l'esigenza di uno dei coniugi di vedersi assegnato un quid per il mantenimento, deve tenersi conto della situazione economico patrimoniale di entrambi i coniugi, deducendola "non solo" dalla valutazione dei redditi, ma da ogni altra circostanza rappresentata da elementi di ordine economico, o suscettibili di apprezzamento economico, idonei ad incidere sulle condizioni delle parti.

Ignorando tali aspetti, in fatto ed in diritto, la Corte di Appello non ha tratto la doverosa conclusione circa la peculiare natura "gratuita" dell'atto di disposizione assunto con l'atto di separazione. Compiute queste precisazioni, la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione.