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 Il mattino ha l'oro in bocca ed il mio sonno attaccato alla porta di casa. Agata mi sta aspettando alle sei spaccate fuori dal portone. Indossa il solito tailleur delle grandi occasioni. Grigio fumo.

- Hai dormito ? Esordisce appena apro la portiera.

- Si.

Non sono bravo a parlare appena alzato.Si ferma dall'edicola dei fratelli Giona per acquistare i giornali. Sono dieci anni che percorriamo l'Italia ma la prima tappa obbligata restaquella. Ne compro due o tre, Il Sole 24 Ore di ordinanza. Trovo i soliti due clienti rompicoglioni in eterna sosta dentro l'edicola. A farsi i cazzi degli altri, anche all'alba. Quando entro si ammutoliscono come sempre. Restano a fissarmi. Mi faccio consegnare i giornali e pago.

- Volete una foto ?

I due restano interdetti. Me ne vado prima che riescano a realizzare. Ci accompagna un sole che sorge dal mare. Qualche vela riga le onde. Sembra una giornata promettente ma qualcosa mi dice che sarà una battaglia di lacrime e altro materiale organico.

- Vuoi farla rispondere ?

 - Non lo so. Aspetto anche di parlarle un momento. Come faccio in un casino così ? Lo sai bene. Non riesco a capire perché abbia nominato proprio me. E' la domanda che mi martella più di tutte.

- Forse perché sei bravo…

- Non dire cazzate. Ce ne sono mille molto più bravi di me.

- Non dirle tu queste sciocchezze.

Agata non dice parolacce. Il punto, anzi i punti sono proprio due in questa storia. Il primo è vuotare il sacco o meno in un interrogatorio di garanzia. Il manuale del perfetto penalista vieta di far rispondere un indagato al primo contatto con l'Autorità Giudiziaria perchè le carte non si conoscono. Non è una regola codificata ma sta scritta sui fondoschiena di tutti gli avvocati difensori. La seconda è perché mi ha scelto e come mi debba comportare. Non mi è mai capitato di difendere un giudice e poi una così, bravissima, prussiana, le cui sopracciglia determinano l'andamento di un'udienza a seconda di come si aggrottino. Già Calamandrei scriveva di come sia difficile per un avvocato difendere un giudice, uno che si è sempre creduto infallibile, come Dio o i comandanti delle navi. E che per di più conosce i codici.

 Il viaggio è veloce. Arriviamo al carcere – braccio femminile con un certo anticipo. Riesco ad entrare al volo e chiedo di poter parlare con la mia assistita prima dell'udienza. Ho quaranta minuti a disposizione per poterle domandare tutto quello che mi frulla in testa. Agata ed io aspettiamo pazienti che le guardie penitenziarie la accompagnino. Sto in piedi nel corridoio. Non mi va di attenderla seduto come faccio di solito con i detenuti normali. Arriva. Indossa una camicia bianca. Ha le occhiaie ma lo sguardo è quello di sempre, canna di fucile. Con qualche lampo in più. Mi porge subito la mano. Sono emozionato, sento il sudore che comincia a colare sotto la giacca. Mi sento un ballerino al ballo di gala.

Ciak, si danza.