Con sentenza n.140 del 26 maggio 2025, il Consiglio Nazionale Forense ha riaffermato l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui la responsabilità disciplinare dell'incolpato ben può essere provata anche tramite i messaggi scambiati su whatsapp, che hanno valore probatorio anche nel caso in cui vengano contestati dalla parte nei confronti della quale sono prodotti […]alla luce del principio del libero convincimento del giudice, che ha ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove acquisite (Nel caso di specie, l'incolato -sottoposto a procedimento disciplinare per inadempimento al mandato- aveva contestato l'esistenza di un incarico professionale, che invece emergeva dalle comunicazioni whatsapp col cliente e allegate all'esposto). Fonte: https://codicedeontologico-cnf.it/la-responsabilita-deontologica-puo-provarsi-anche-mediante-i-messaggi-whatsapp/
I fatti del procedimento
Un avvocato è stato sanzionato con la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per quattro mesi:
- per non aver intrapreso le necessarie iniziative giudiziarie in seguito all'assunzione dell'incarico di difendere la propria cliente in una vertenza contro il datore di lavoro di quest'ultima;
- per aver fornito alla stessa cliente false notizie sullo state dell'ipotetico procedimento nelle conversazioni scambiate tramite messaggi.
L'avvocato ha impugnato la sentenza del CDD dinanzi al CNF, contestando, tra l'altro, l'inutilizzabilità delle conversazioni a mezzo whatsapp, l'erronea valutazione degli elementi probatori e l'eccessività della sanzione irrogata.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio ha confermato che dalle risultanze del procedimento disciplinare svoltosi dinanzi al CDD è emersa la prova:
- dell'instaurazione del rapporto professionale;
- dell'effettivo rilascio della procura alle liti finalizzata alla instaurazione del giudizio mai incardinato.
La prova si fonderebbe sui messaggi scambiati dal ricorrente con la sua assistita su whatsapp, il cui contenuto e la cui autenticità sono stati ammessi dallo stesso incolpato; messaggi, questi, che secondo il giudice disciplinare costituiscono una forma di prova legale e che, pertanto, possono essere presentati come tale in un processo giudiziario, assumendo un valore probatorio anche nel caso in cui vengono contestate dalla parte nei confronti della quale sono prodotti (Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza, 27/04/2023, n. 11197; Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 139 dell'11 luglio 2023).
In buona sostanza, il CNF conferma l'orientamento del giudice disciplinare che si è uniformato all'orientamento della Corte di Cassazione che con sentenza n.11197/2023, a Sezioni Unite, ha pure affermato che anche le modalità di acquisizione dei messaggi, ad esempio gli screenshot, sono legittime a patto che consentano di provare l'integrità e l'origine del documento digitale. Tale orientamento è stato anche ribadito dalla Suprema Corte, poi, con successiva ordinanza n. 1254/2025, che ha sostenuto il valore probatorio dei messaggi WhatsApp, al pari degli SMS; un valore probatorio pieno dei fatti e delle circostanze in essi rappresentati. E ciò in quanto dette comunicazioni, ad avviso della Cassazione, sono considerate riproduzioni informatiche e meccaniche che, ai sensi dell'art. 2712 Codice civile, hanno efficacia probatoria se la parte contro cui sono prodotte non ne contesta esplicitamente la conformità alla realtà.
Alla luce dell'orientamento richiamato dal CNF e della valutazione della gravità del comportamento deontologicamente non corretto tenuto dall'avvocato, è stata ritenuta congrua la sanzione della sospensione di mesi quattro dall'esercizio della professione forense comminata all'incolpato dal CDD. Per questi motivi, il Consiglio ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente e ha rigettato il ricorso.