Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Ricorso al CNF: necessaria la specificità dei motivi ai fini della sua ammissibilità

Imagoeconomica_1507348

 "La specificità dei motivi del gravame, necessaria al fine della ammissibilità del ricorso al CNF (art. 59 R.D. n. 37/1934) richiede l'indicazione chiara ed inequivoca, ancorché succinta, delle ragioni di fatto e di diritto della doglianza, tale da consentire l'esatta identificazione dei limiti del devolutum e, quindi, delle questioni che si intendono sottoporre al riesame, con la conseguenza che va ritenuta inammissibile l'impugnazione generica che chieda una riforma della decisione gravata, senza individuare con chiarezza quali siano le statuizioni investite dal gravame stesso e quali siano le censure in concreto mosse alla motivazione di tale decisione" (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 50 del 16 luglio 2019)

Questo ha statuito il Consiglio nazionale forense (CNF) con decisione n. 202 del 16 settembre 2021 (https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2021-202.pdf).

Ma vediamo il caso sottoposto al CNF.

I fatti del procedimento disciplinare

Il ricorrente è stato sottoposto a procedimento disciplinare ed è stato indagato per il reato di cui agli artt. 388, comma 1, e 110 c.p. per aver fornito cosciente collaborazione al fine di consentire ad altro indagato di sottrarsi all'adempimento di obblighi nascenti da provvedimento dell'Autorità Giudiziaria. All'esito del procedimento disciplinare, l'avvocato incolpato è stato ritenuto responsabile dell'illecito disciplinare di cui all'art. 23, comma 5, codice deontologico forense, secondo cui l'avvocato è libero di accettare l'incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita. Per tal verso è stata comminata al ricorrente la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per anni 3 (tre). 

 Il caso è giunto dinanzi al CNF.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità.

La decisione della CNF

Secondo il CNF occorre accertare, innanzitutto, il grado di specificità dei motivi del ricorso al fine di verificare l'ammissibilità dell'atto di impugnazione. Al riguardo, il CNF richiama l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale "al ricorso proposto innanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione disciplinare emessa dal Consiglio Distrettuale di Disciplina non può ritenersi applicabile, in via immediata e diretta, il disposto dell'art. 342 cod. proc. civ. Ciò, peraltro, non toglie che, a norma dell'art. 59 del regio decreto n. 37 del 1934, richiamato dall'art. 36, comma 1, della legge n. 247 del 2012, il ricorso al Consiglio Nazionale Forense debba contenere «l'indicazione specifica dei motivi sui quali si fonda». Ai fini del rispetto dell'art. 342 cod. proc. civ., pur non occorrendo l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, è necessario che l'impugnazione contenga, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; affinché sia rispettato il precetto di cui all'art. 59 del regio decreto n. 37 del 1934, basta, più semplicemente, che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense precisi il contenuto e la portata delle censure mosse al provvedimento adottato dal Consiglio distrettuale di disciplina, sì che resti individuato il thema decidendum sottoposto all'esame del giudice disciplinare" (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 34476 del 27 dicembre 2019; nello stesso senso Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 61 del 18 giugno 2020). 

In buona sostanza, il ricorso al CNF deve essere caratterizzato da specificità, ossia deve contenere una indicazione anche succinta delle ragioni di fatto e di diritto della doglianza e ciò al fine di consentire l'identificazione dei limiti del devolutum e, quindi, delle questioni che si intendono sottoporre al riesame. Ne consegue che l'atto di impugnazione, ove manchi di detta specificità, sarà generico e andrà ritenuto inammissibile (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 50 del 16 luglio 2019; nello stesso senso Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 60 del 16 luglio 2019; Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 224 del 22 novembre 2020; Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 205 del 26 ottobre 2020). Sulla scorta di tali principi si può senz'altro affermare che l'appellante, nel proprio atto introduttivo, è tenuto ad enucleare ed evidenziare i motivi specifici dell'impugnazione sui quali invoca l'intervento del giudice disciplinare. Orbene, tornando al caso in esame, il ricorrente si è limitato a contestare la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina, senza specificare i) le parti della decisione; ii) gli errori eventualmente commessi nella ricostruzione del fatto compiuti dal giudice di primo grado; iii) le circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata; iv) le ragioni volte a confutare le argomentazioni, logico giuridiche, che sono poste a base della decisione impugnata da parte del giudice di prime cure. Tale carenza rende inammissibile il ricorso per violazione del dettato di cui all'art. 59 R.D. n. 37/1934, richiamato dall'art. 36, comma 1, della legge n. 247 del 2012 e, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il CNF, tra gli altri motivi, ha respinto l'atto di impugnazione. 

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

Avvocati non si diventa, si nasce, ed io lo nacqui...
Il dovere di aggiornamento professionale dell'avvo...

Cerca nel sito