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Mantenimento figli maggiorenni, Cassazione: “Non necessariamente dovuto in caso di disabilità”

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Con l'ordinanza n. 18451 dello scorso 8 giugno, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso che un figlio maggiorenne non autosufficiente avesse diritto all'assegno di mantenimento a carico del padre solo perché affetto da una disabilità pari al 34%.

Censurando la sentenza di merito che, senza accertare se l'invalidità del figlio fosse ostativa all'ottenimento di una occupazione lavorativa, aveva disposto a carico del padre l'obbligo di corrispondere l'assegno, gli Ermellini hanno precisato che "nella società attuale, anche chi è affetto da handicap o disabilità ha la possibilità di essere inserito nel mondo del lavoro, nei limiti a lui confacenti e secondo il contributo lavorativo che egli sia in grado di dare".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il Tribunale di Catania confermava l'obbligo di mantenimento di un padre nei confronti dei due figli maggiorenni, di trentatré anni e con una invalidità pari al 34%, nella misura di euro 1.500,00 mensili.

L'uomo appellava la decisione, dolendosi – tra le altre cose – per non aver il giudice di prime cure considerato come nulla fosse dovuto ai ragazzi, anche per l'inerzia di costoro all'ottenimento di un'occupazione, inerzia palesatasi a fronte dell'invito del padre di inviargli un curriculum, al fine di aiutarli a reperire un posto di lavoro. 

La Corte di appello di Catania, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva l'assegno di mantenimento per ciascuno dei due figli maggiorenni, ma disattendeva l'argomento della non debenza dell'assegno a favore dei due ragazzi, ritenendo che non cessasse l'obbligo di mantenimento dei figli fino a quando loro avessero raggiunto l'indipendenza economica, come era onere del genitore provare.

Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione per violazione e falsa applicazione dell'art. 337 septies c.c., dolendosi per non aver la corte di merito valutato se l'invalidità dei ragazzi fosse tale da giustificare una pensione o una facilitazione nel mondo del lavoro, vieppiù perché egli aveva dimostrato di avere invitato i ragazzi a trasmettergli i propri curricula, al fine di aiutarli nella ricerca di un'occupazione, non ottenendone risposta.

La Cassazione condivide la posizione del ricorrente.

Gli Ermellini ricordano come il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. 

Tale principio vale anche con riguardo al riconoscimento di un assegno di mantenimento ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, la cui condizione giuridica è equiparata, sotto tale profilo, a quella dei figli minori ex art. 337 septies c.c. se sussistono i requisiti di cui al comma 3, articolo 3 della legge 104/92, ovvero se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione: essendo, in caso contrario, la condizione giuridica del figlio assimilabile non a quella dei minori bensì allo status giuridico dei figli maggiorenni.

In relazione al caso di specie, la Cassazione evidenzia come la corte del merito aveva ritenuto che sussistesse un'invalidità dei gemelli pari al 34%, ma non aveva accertato se questo impedisse loro il reperimento di un'attività lavorativa, almeno idonea ad un parziale guadagno, affermando che il relativo onere probatorio fosse a carico del padre, il quale non lo avrebbe offerto.

In tal modo, essa non si è attenuta al principio di diritto, secondo cui nella società attuale, anche chi è affetto da handicap o disabilità ha la possibilità di essere inserito nel mondo del lavoro, nei limiti a lui confacenti e secondo il contributo lavorativo che egli sia in grado di dare.

In conclusione, la Cassazione accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d'appello di Catania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

 

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