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La Cassazione torna sul termine di prescrizione dei contributi previdenziali.

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La massima.

Il raddoppio del termine quinquennale di cui alla lett. a), co. 9, dell'art. 3, L. 335/1995, è sì previsto per il caso di denuncia del lavoratore, ma solo limitatamente ai crediti maturati anteriormente all'entrata in vigore della L. 335/1995, mentre non trova applicazione rispetto a quelli maturati in epoca successiva.

Cassazione, ord. dell'11.07.2022, n. 21871.

Premessa.

L'Art. 3, co. 9, lett. a) della L. 8 agosto 1995, n 335, stabilisce che "le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono, e non possono essere versate, con il decorso del termine di dieci anni, per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti".

Tale ultimo periodo, che introduce, a decorrere dal 1 gennaio del 1996, un termine di prescrizione dimezzato e, nel contempo, un'eccezione a tale dimezzamento in caso di denuncia del lavoratore, ha dato luogo ad una serie di dubbi interpretativi concernenti, da un lato, l'ambito di applicazione temporale della disposizione, e, dall'altro, l'effetto - interruttivo o meno - della denuncia del lavoratore sul termine di prescrizione.

La Cassazione, con l'ordinanza n. 21871 dell'11 luglio scorso, ha sciolto il primo dei due dubbi interpretativi, dichiarando che il raddoppio del termine quinquennale di cui alla lett. a), co. 9, dell'art. 3, L. 335/1995, è sì previsto per il caso di denuncia del lavoratore, ma solo limitatamente ai crediti maturati anteriormente all'entrata in vigore della L. 335/1995, mentre non trova applicazione rispetto a quelli maturati in epoca successiva.

Il Fatto.

L'Istituto Nazionale di Previdenza dei giornalisti Italiani ingiungeva ad una società editoriale il pagamento di oltre 700.000,00 € a titolo di contributi previdenziali evasi e sanzioni civili, relativi alla posizione contributiva dei giornalisti accertata con verbale ispettivo.

All'esito del giudizio di merito instauratosi per effetto dell'opposizione proposta dalla società intimata, il tribunale adito riconosceva la natura subordinata della prestazione lavorativa resa dai giornalisti ed il loro conseguente diritto all'inquadramento economico e normativo nella qualifica di corrispondente ai sensi dell'art. 12 CCNL, condannando la società datrice di lavoro al pagamento dei contributi richiesti dall'INPGI.

La decisione del giudice di prime cure veniva confermata anche in appello e perciò la società datrice si rivolgeva alla Cassazione, articolando il ricorso in sette motivi, tra cui, quello, formulato ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in cui deduceva la violazione e falsa applicazione della legge in relazione alla L. 8 agosto 1995, n. 335. In particolare la società ricorrente contestava la mancata applicazione del termine di prescrizione quinquennale introdotto dalla L. n. 335 del 1995, in relazione alle posizioni contributive risalenti al periodo precedente il quinquennio dalla notifica del ricorso per decreto ingiuntivo o del verbale di accertamento, per le quali il termine sarebbe già decorso in assenza di atti interruttivi e di procedure precedentemente avviate.

La decisione della Corte

Secondo la Corte, il giudice del merito aveva errato nel conferire rilievo alla denuncia del lavoratore ai fini del mantenimento temporaneo del termine decennale di prescrizione ai sensi dell'art. 3, comma 9, della L. n. 335/1995, ciò in quanto il credito del denunciante era maturato in epoca successiva all'entrata in vigore della disposizione appena citata.

Il legislatore, si legge nell'ordinanza in commento, nell'introdurre il meccanismo cha ha abbreviato in modo "secco" la durata della prescrizione estintiva da dieci a cinque anni, ha attribuito alla denuncia una mera funzione di produrre il mantenimento del termine decennale nel periodo transitorio di applicazione della nuova disciplina, in modo da attenuare gli effetti derivanti dal repentino passaggio da un termine di prescrizione decennale al ben più breve termine quinquennale.

La Corte ha, infine, negato che alla predetta denuncia possa essere attribuito il valore di atto interruttivo della prescrizione, ritenendo che di ciò non possa trarsi argomento da nessuna delle norme costituenti il complessivo quadro normativo di riferimento, né dalla ratio legis che da esso si evince.

 

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