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Il danno da stress lavorativo va risarcito anche in mancanza di prova dell’intento persecutorio.

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In sintesi.

L'art. 2087 del codice civile, tende a realizzare la tutela di un interesse di carattere generale ed impone di adoperare tutte le cautele che rendano sicuro l'ambiente di lavoro (comprensivo di tutti i luoghi in cui il lavoratore ha la possibilità di accesso); tali cautele vanno oltre il mero rispetto delle norme di sicurezza prescritte esplicitamente e si estendono sino all'obbligo di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato. Ne discende che, nell'indagine sulla sussistenza di una responsabilità ex art. 2087 cod. civ., che ha natura contrattuale, occorre valutare, nel complesso, tutti i comportamenti, anche quelli di per sé non illegittimi, o isolati, o che si connettano ad altri comportamenti inadempienti, che contribuiscano ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio (già accertato) alla personalità ed alla salute del lavoratore.

Pertanto, qualora, nel corso del giudizio di merito, sia accertato un grave e protratto svuotamento di mansioni causativo di un danno alla salute e, dunque, un inadempimento, da parte del datore di lavoro, agli obblighi di appropriatezza nella gestione del personale - già di per sé rilevante ai sensi dell'art. 2087, cod. civ. -, è necessario che il giudicante, ove siano stati denunciati, da parte del lavoratore, ulteriori comportamenti violativi dell'obbligo di evitare lo svolgimento della prestazione con modalità ed in un contesto indebitamente stressogeno, valuti anche tali episodi al fine di verificare se gli stessi abbiano o meno inciso sul diritto alla salute del ricorrente, indipendentemente dalla configurabilità di un intento persecutorio in capo al soggetto agente, in quanto, tali episodi, possono comunque rilevare ai fini della responsabilità contrattuale, secondo le regole dettate dagli artt. 1118 e 1223 cod. civ..


Cass., sez. lav., ord. n. 3692/2023.  

Da un sondaggio effettuato nel 2020 da Monster su un campione di mille persone di varia nazionalità in cerca di occupazione, è emerso che circa il 42% degli intervistati ha lasciato il proprio posto di lavoro a causa di un ambiente lavorativo stressante, mentre un ulteriore 35% ha dichiarato di aver preso in considerazione l'idea di cambiare lavoro sempre a causa dell'elevato livello di stress sul posto di lavoro.

La promozione di un ambiente di lavoro sano è indispensabile non solo perché contribuisce a migliorare la produttività, ma anche perché pone il datore di lavoro al riparo da possibili responsabilità di natura sia contrattuale che extracontrattuale.

Negli ultimi anni si registra, infatti, un notevole incremento di procedimenti per il risarcimento del danno da stress lavorativo.

Il danno da stress, inteso come stato di inquietudine, di sofferenza, di disagio emotivo, rientra nella categoria del danno non patrimoniale, come tale suscettibile di risarcimento solo qualora abbia leso diritti inviolabili del lavoratore, come, ad esempio, il diritto alla salute.

Un'esposizione prolungata allo stress, può, infatti, provocare seri danni alla salute.

Nel caso sottoposto alla valutazione della Cassazione, il ricorrente aveva chiesto il risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., deducendo di aver riportato un danno derivante non solo dal demansionamento, ma anche ad una condotta mobbizzante.

I giudici del merito, accertata la sussistenza del demansionamento, avevano rigettato la richiesta risarcitoria per mobbing per mancanza di prova dell'intento persecutorio. 

La Cassazione, dopo aver premesso che la responsabilità ex art. 2087 cod. civ. si configura anche a fronte di un mero inadempimento colposo del datore di lavoro, che si ponga in nesso causale con un danno alla salute del dipendente, e ciò secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale, ha affermato che la condotta del datore di lavoro che consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori, deve ritenersi illegittima alla stregua del paradigma di cui all'art. 2087 cod. civ., rimanendo tale responsabilità esclusa solo qualora i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente pericolosa dell'ordinaria prestazione lavorativa.

Inoltre, qualora, nel corso del giudizio di merito, sia accertato un grave e protratto svuotamento di mansioni causativo di un danno alla salute e, dunque, un inadempimento, da parte del datore di lavoro, agli obblighi di appropriatezza nella gestione del personale - già di per sé rilevante ai sensi dell'art. 2087, cod. civ. -, è necessario che il giudicante, ove siano stati denunciati, da parte del lavoratore, ulteriori comportamenti violativi dell'obbligo di evitare lo svolgimento della prestazione con modalità ed in un contesto indebitamente stressogeno (anch'esso costituente una violazione dei doveri discendenti dall'art. 2087 cod. civ.), valuti anche tali episodi al fine di verificare se gli stessi abbiano o meno inciso sul diritto alla salute del ricorrente, ciò in quanto, tali episodi, possono comunque rilevare ai fini della responsabilità contrattuale, secondo le regole dettate dagli artt. 1118 e 1223 cod. civ..

Insomma, secondo i giudici di legittimità, lo svolgimento della prestazione lavorativa in un contesto stressogeno è elemento sufficiente fondare una richiesta risarcitoria per responsabilità contrattuale, indipendentemente dalla configurabilità di un intento persecutorio. 

 

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