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Diniego patente: oltre alla condanna penale, occorre anche una valutazione sulla pericolosità sociale

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Il generico riferimento all'esistenza di una condanna per reato quale motivo ostativo alla concessione della patente non è sufficiente al diniego di tale concessione. E ciò in considerazione del fatto che è necessaria una valutazione discrezionale che tenga conto della personalità dell'interessato e di quanto è avvenuto dopo la condanna, circa la pericolosità sociale che potrebbe scaturire dalla concessione della patente di guida.

Questo ha ribadito il Tar Lazio, con sentenza n. 8947/2021 del 26 luglio 2021 (https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=202101911&nomeFile=202108947_01.html&subDir=Provvedimenti).

Ma vediamo il caso sottoposto all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa

Il ricorrente ha subito una condanna penale. Egli ha chiesto il rilascio della patente. Richiesta, questa, che è stata oggetto di diniego da parte del Direttore dell'Ufficio Motorizzazione per la non sussistenza dei requisiti morali ai sensi dell'art. 120,comma 1, del Codice della Strada, secondo quanto comunicato dalla Prefettura. Ad avviso del ricorrente, il provvedimento di diniego è illegittimo perché l'Amministrazione ha fornito una motivazione carente, facendo riferimento generico alla circostanza per la quale sono emersi motivi ostativi dal collegamento per via telematica effettuato al "CED" del Dipartimento per i trasporti, senza tuttavia indicare la fattispecie precisa. 

In buona sostanza, dalla motivazione, non si può evincere se il ricorrente sia stato ritenuto un delinquente abituale, professionale o per tendenza, se sia stato sottoposto a misure di sicurezza personali o di prevenzione o se abbia, eventualmente, subito condanne ostative per reati tipici, secondo l'indicazione di legge. Questa carenza fa presupporre che la Prefettura non abbia valutato in concreto la posizione del ricorrente, ossia non abbia valutato oltre alla condanna penale anche l'allarme sociale conseguente, la condotta successiva e le prospettive di reinserimento. Il Tar adito, in sede cautelare, ha accolto la relativa domanda del ricorrente, disponendo in capo all'ufficio della Motorizzazione civile una nuova e più specifica valutazione della posizione del ricorrente che tenesse conto non solo della condanna penale, ma anche della condotta successiva e delle prospettive di reinserimento sociale dedotte nel ricorso, secondo determinati parametri, quali: (a) gravità dell'episodio criminoso descritto nella sentenza di condanna; (b) condotta mantenuta dal ricorrente successivamente alla condanna, sia sotto il profilo lavorativo sia in generale nei rapporti sociali e interpersonali; (c) eventuali nuove denunce a carico del ricorrente, o frequentazione di soggetti pericolosi; (d) eventuale presenza di familiari in grado di assistere e sostenere il ricorrente nel percorso riabilitativo; (e) svolgimento di attività lavorative, oppure offerte di lavoro, in relazione alle quali sia necessario il possesso della patente di guida.

L'Amministrazione non ha dato luogo a una nuova riedizione del potere.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito nel merito dal Tar. 

La decisione del Tar

Innanzitutto occorre far rilevare che al caso in esame trova applicazione la pronuncia della Corte Costituzionale n. 22/2018, secondo cui la Prefettura non può più limitarsi a segnalare l'esistenza di una condanna per reato che prima della pronuncia della Consulta era automaticamente ostativo, ma deve esprimere una valutazione discrezionale che tenga conto della personalità dell'interessato e di ciò che è avvenuto dopo la condanna, circa la pericolosità sociale che potrebbe scaturire dalla concessione della patente di guida. Ne consegue che quando nei confronti di un soggetto che chiede la concessione della patente sia stata pronunciata una condanna penale, la Prefettura deve aprire un procedimento di valutazione discrezionale e la Motorizzazione civile, dal canto suo, non può limitarsi a richiamare la comunicazione del "CED" della Prefettura in assenza di tale valutazione (da ultimo, TAR Lazio, Sez. III, 16.6.21, n. 7179). Questa valutazione va effettuata concretamente e consiste in una riedizione del potere qualora sia sollecita in un giudizio cautelare, come avvenuto nel caso di specie. Orbene nella questione sottoposta al vaglio dei Giudici amministrativi:

  • il provvedimento impugnato è carente i) di motivazione in ordine alla riscontrata assenza di requisiti morali e ii) della predetta valutazione discrezionale;
  • l'Amministrazione, sollecitata, in sede cautelare, a effettuare la valutazione su citata, si è limitata a depositare in giudizio una nuova relazione allo scopo di integrare la motivazione del provvedimento. Tale integrazione non è idonea a colmare la carenza dell'atto impugnato, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo e rappresentando l'obbligo di motivazione un presidio essenziale del diritto di difesa in sede procedimentale e giudiziaria (TAR Lazio, Sez. III, 1.12.20, n. 12809; TAR Basilicata, 8.4.21, n. 296; TAR Campania, Na, Sez. V, 7.4.21, n. 2295).

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso è stato ritenuto fondato per la riscontrata carenza di motivazione e il provvedimento impugnato, conseguentemente, è stato annullato. 

 

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