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Calogero Mastruzzo un Niscemese dimenticato Da “Sadhu e vacche sacre” all’ “Ombra del campanile”

rizzo

Non poche persone, sia a Niscemi sia a Palermo, hanno conosciuto Calogero Mastruzzo come lo studente attento e preparato, intelligentemente curioso, forbito nel linguaggio, poliglotta, solerte funzionario della Regione Sicilia, spirito aperto e capace di captare gli umori di persone e cose gli gravitavano attorno. Tutto ciò che riusciva a percepire con le sue antenne veniva sapientemente immagazzinato in un angolo della sua memoria. Poi, in un secondo momento, affidava alla carta le sue emozioni, le sue pulsioni, il suo amore per la sua Niscemi e per altri Paese. Riusciva, grazie ad una scrittura asciutta, ad un linguaggio forbito nella scelta lessicale, a descrivere personaggi ed ambienti capaci di "dissolvere e superare il dato biografico attraverso la dimensione dell'immaginario", direbbe Gesualdo Bufalino.

Mastruzzo nasce a Niscemi il 25 aprile 1916 e muore a Palermo il 31 dicembre 1973.

Dopo aver compiuto gli studi presso i Padri Salesiani di Torino, viene mandato in India, dove rimane per oltre dieci anni come missionario, insegnante di latino, greco ed inglese e, dopo l'entrata dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, come prigioniero civile degli inglesi.

Rientrato in Italia si laurea in giurisprudenza all'Università di Catania, si occupa di studi classici e filosofici, di traduzioni dall'inglese; collabora a quotidiani e riviste: "Un secolo di cultura siciliana", edita per iniziativa dell'Assemblea della Regione Siciliana; "Sicilia del popolo"; "Realtà politica"; "Voce cattolica"; "La soffitta"! Partecipa attivamente alla vita politica.

Nel 1957 entra in Regione Siciliana e si distingue per la sua preparazione giuridica.

Nel 1961 cura la traduzione dall'inglese dell'Introduzione di Denis Mark Smith dell'opera "Scritti politici" di Giuseppe La Farina.

Nel 1959 pubblica "Sadhu e vacche sacre (taccuino d'India)", Salvatore Sciascia Editore.

 Da Sadhu e vacche sacre": "Hai mai dormito in un villa" mi domandava Nichols,

"No, mai", rispondevo. "Prova. Non è possibile dormire, è vero, e le punture delle zanzare non si contano, ma ci sono molti compensi: il lamento del flauto mentre cade il crepuscolo, le graziose siluette delle ragazze al pozzo (nero seppia contro il verde giada del cielo).La collana di fiori che ti mettono al collo quando arrivi e che la sera appendi a un chiodo della parete, il piatto di frutta fresca che ti portano prima di andare a dormire, le bacchettine di canfora bruciate che spandono un odore peculiare, tutto indiano, nella stanza, e il respiro della notte. E poi l'aurora improvvisa, luminosa e rossa, un'autentica aurora con le guance bianche e vermiglie che diventano rance per dirla col vostro Dante, e il volo pesante dei corvi che passano gracchiando, e le forme scure dei bufali che vanno al pascolo, e i contadini con la ciambella di sterco di vacca accesa e la pipa ad acqua che si recano al lavoro nella risai". Nichols si fermava trasfigurato e mi domandava "Hai mai visto una risaia di primo mattino?". "No, mai" rispondevo umile umile, guardando la sua faccia trasfigurata. "Poche cose sono più belle di una risaia vista di primo mattino" mi diceva Nichols "è come una coperta ricamata in un verde dalle molte sfumature, dal pallido dei margini, cucito finemente sulla terra rossa, ai vividi quadrati di brillante smeraldo che segnano il raccolto che verrà ". Nichols scuoteva la testa, mi guardava compassionevolmente e continuava: "No, non potrai capire, l'anima dell'India se non passi almeno una notte in un villaggio indiano, come un contadino, in mezzo ai contadini. Vi si imparano tante piccole cose che aprono spiragli imprevisti e improvvisi per guardare tra le pieghe di una civiltà. Imparerai, per esempio, a conoscere lo strano senso che hanno gl'indù di essere tutt' uno con gli animali. E' naturale che quattro Caprette dormano in un angolo della Capanna, che una nidiata di pulcini razzoli in un altro angolo, che una vacca metta di tanto in tanto la testa nel vano della porta e guardi dentro con occhi solenni". Così diceva Nichols, inglese di Londra, a me, italiano di Sicilia, che vengo da un paese di contadini dove gli animali vivono e dormono nello stesso buco nero in cui vivono e dormono gli uomini e le donne e i bambini".

 "L'ombra del campanile"

Leggendo alcuni di questi bozzetti, a dire il vero, si ha l'impressione di una certa incompiutezza. E non e' facile dire se una pubblicazione edita a quarantotto anni anni dalla scomparsa dell'Autore, abbia o meno subito una qualche violenza, anche da parte nostra: fosse solo a fin di bene. Non possiamo noi dire oggi, l'uso che Mastruzzo avrebbe fatto di questi bozzetti, tenuto conto anche che ad una rilettura attenta non mancano le connessioni tra un racconto ed altri, che fanno intuire una volontà di volerci ritornare, di volerli riprendere, ampliarli, limarli, non tanto dal profilo linguistico, quanto da quello del contenuto.

Cicciu u vuttaru

Ciccio u vuttaru, con la sua mula Peppa, una futura tipica di Niscemi fino alla prima metà del secolo scorso "… passava tutte le sante mattine per le strade del paese suonando la tromba; era lui che stanava le massaie di buchi più riposti delle loro case, ed esse si facevano sugli usci in tutta fretta e come vergognandosi, chi con un secchio chi con un vaso da notte nascosto sotto il grembiule e a Ciccio lo consegnavano. Si tralascia di cimentarsi nella descrizione della botte gommosa dentro cui Ciccio versava il contenuto di latrina"

Aria di agosto

Un'altra figura storica di Niscemi era il capraio Nnanggiu: "Curatolo Nnanggiu rideva lui pure; aveva capito ch'egli voleva sentire quella storia proprio da lui, e rideva lusingato. Poi si allucignolava la barba e rimaneva assorto. Nell'aria di agosto le cicale strillavano briache si sole. Le pecore non bruciavano più i radi occhi d'erba stinta, s'erano accosciate nella breve ombra della siepe e guardavano con occhi trasognati l'uva che invaiava tra i pampini. Sotto la balza del poggio la campagna sventagliata faceva vedere le casine linde e sgargianti nel verde delle vigne e nell'argento degli ulivi".

Due bozzetti, tra i tanti, descritti con proprietà di linguaggio, con grande maestrìa e tanto amore.

 

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