Imagoeconomica_1532421

Con la sentenza n. 38606 dello scorso 18 settembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad un uomo che aveva avuto un lascivo contatto con il fondoschiena di una donna, rigettando le difese dell'aggressore secondo cui quel gesto repentino, non interessando una zona erogena, non potesse integrare la consumazione di alcun delitto.

Si è difatti specificato che per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica: difatti, nel reato di violenza sessuale, l'elemento della violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art.609 bis c.p., per aver messo una mano sul fondoschiena di una donna, toccando o sfiorando quella parte del corpo.

Nel corso del dibattimento presso il Tribunale di Lucca veniva confermato il capo di imputazione: emergeva, infatti, come il toccamento di quella specifica zona "erogena" era stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell'intimità della persona ed animato da chiari impulsi sessuali, percepiti in maniera inequivoca dalla vittima, la quale immediatamente reagiva e protestava energicamente contro quel gesto, fino ad abbandonare la stanza. 

Il Tribunale riteneva l'imputato, quindi, colpevole del reato di violenza sessuale, così condannandolo alla pena di legge.

La Corte di Appello di Trieste confermava la pena inflitta.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo deduceva violazione degli artt. 56 e 609 bis c.p., nonché vizio di motivazione in ordine al reato di violenza sessuale consumata.

In particolare, i difensori dell'uomo rimarcavano come – per i fatti contestati – potesse parlarsi soltanto di mero tentativo: la persona offesa, infatti, non aveva mai dichiarato di essere stata toccata sul sedere, ma aveva sempre sostenuto che l'imputato si era limitato a sfiorarle la parte bassa della schiena.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

La Corte premette che costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito considerare la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci; in tale indagine, il giudice è tenuto a valutare la condotta nel suo complesso, il contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, la sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, il contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e ogni altro dato fattuale qualificante. 

Con specifico riferimento al caso di specie, i giudici di merito hanno ampiamente argomentato come – a seguito delle dichiarazioni rese dalla persona offesa – fosse ben emersa la portata del gesto compiuto sul fondoschiena: il toccamento di quella specifica zona "erogena" era stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell'intimità della persona ed animato da chiari impulsi sessuali, percepiti in maniera inequivoca dalla vittima.

Alla luce di tanto, correttamente il reato è stato ritenuto nella forma consumata, posto che il tentativo del reato previsto dall'art. 609 bis c.c. è configurabile nel caso in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l'agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime. Diversamente, per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica: difatti, nel reato di violenza sessuale, l'elemento della violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.