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 Con l'ordinanza n. 31901 dello scorso 10 dicembre in tema di addebito della separazione, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha statuito che, di fronte alla condotta violenta di un coniuge, nessun' altra violazione dei doveri coniugali perpetrata dall'altro coniuge può annullare la rilevanza del comportamento violento ai fini della pronuncia di addebito, sul presupposto che "le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse".

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Trani che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, rigettava l'istanza di addebito proposta dalla moglie, che lamentava l'intollerabilità della convivenza a causa del comportamento dispotico e violento del marito.

La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Bari.

La Cassazione, adita con ricorso della donna, annullava la sentenza rinviando la causa alla Corte di Appello di Bari in differente composizione.

 La donna riassumeva il giudizio presso la Corte territoriale la quale, nuovamente, rigettava l'appello osservando che la richiesta di addebito non fosse stata provata, non essendo emerso se la condotta violenta ed intimidatoria dell'uomo avesse avuto efficacia causale rispetto all'intollerabilità della convivenza.

In particolare, il giudice d'appello rilevava che la condotta aggressiva del marito era stata innescata a seguito dell'ostinato comportamento della moglie, la quale voleva a tutti i costi che il suo figlio naturale fosse adottato dall'uomo; constatato il rifiuto del marito di assecondare il suo progetto, la donna era venuta meno ai suoi doveri coniugali, contribuendo significativamente all'intollerabilità della convivenza.

La moglie, ricorrendo in Cassazione, censurava la sentenza per violazione degli artt. 143 e 151 c.c. per non aver, la Corte territoriale, addebitato al marito la separazione, sul presupposto che non fosse stato provato che l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza fosse stata causata dai comportamenti dell'uomo: secondo la difesa della donna, la sentenza impugnata aveva erroneamente escluso, nonostante l'accertamento già compiuto dalla Cassazione remittente, che i comportamenti violenti ascritti all'uomo ne avessero costituito causa efficiente.

La Cassazione ritiene che il ricorso sia fondato.

 Gli Ermellini evidenziamo come ai fini della verifica dell'addebitabilità o meno al marito della separazione, la Corte d'appello avrebbe dovuto mantenere fermi i fatti già considerati accertati dalla Corte di Cassazione, ossia le condotte violente e i maltrattamenti attuati dal marito.

In secondo luogo, rispetto a quei fatti, la Corte di merito avrebbe dovuto anche tenere conto della regola secondo cui le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse.

Ma la Cassazione va oltre, affermando, a chiare lettere, che – di fronte ad una condotta violenta – nessun'altra violazione dei doveri coniugali commessa dall'altro coniuge può esonerare il marito violento dall'addebito: il loro accertamento (n.d.r. delle violenze fisiche e morali) esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., n. 3925/18; n. 7388/17; n. 4333/16).

Invece, la Corte d'appello ha omesso di considerare l'efficacia causale della condotta violenta dell'uomo sulla crisi coniugale, effettuando un'erronea comparazione tra la condotta attribuita alla ricorrente e quella ascritta al marito, per inferirne che la crisi coniugale sarebbe stata innescata anche dal comportamento della donna la quale era venuta meno ai suoi doveri familiari.

Si tratta, invero, di violazioni non paragonabili, sicché la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia nuovamente alla Corte d'appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.