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 I giudici della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza del 28 febbraio 2019 n. 8806, hanno affermato il principio secondo cui l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, non può essere rigettata per l'entità modesta della pena ancora da espiare.

I FATTI

Con l'ordinanza impugnata con il ricorso in Cassazione il Tribunale di sorveglianza di Torino aveva concesso al ricorrente il beneficio della detenzione domiciliare mentre aveva respinto la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale presentata dallo stesso in relazione alla condanna della pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione inflitta per il reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p.

Il Tribunale di sorveglianza aveva negato al condannato la concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali, in quanto l'entità modesta della pena non consentiva "la possibilità di concretamente predisporre quel complesso progetto riabilitativo che costituisce la finalità e la ragion d'essere di tale più ampio beneficio".

 L'imputato, a mezzo del proprio difensore, avverso la decisione del Tribunale di sorveglianza, ricorreva per Cassazione, per violazione di legge. Con il mezzo di impugnazione si faceva rilevare che nonostante l'allegata documentazione attestante lo svolgimento dell'attività socialmente utile, il Tribunale aveva espletato una istruttoria carente e l'esclusione dell'affidamento veniva motivata solo ed esclusivamente in ragione della ridotta entità della pena da espiare.

La ridotta entità della pena (1 mese e giorni dieci di reclusione) non consentiva "la possibilità di concretamente predisporre quel complesso progetto riabilitativo che costituisce la finalità e la ragion d'essere di tale più ampio beneficio".

 MOTIVAZIONE

I giudici della Prima Sezione hanno ritenuto fondato il ricorso proposto.

Gli ermellini hanno fatto rilevare che l'orientamento giurisprudenziale emerso nei primi anni di applicazione dell'ordinamento penitenziario, secondo il combinato disposto dell'art. 47 Ord. pen., comma 3 e art. 50 Ord. pen., comma 1, escludeva l'applicazione della misura dello affidamento in prova al servizio sociale nei casi in cui il condannato doveva scontare pene di durata eguale o inferiore a mesi tre di detenzione. Ciò in quanto il sistema normativo richiedeva un'osservazione in istituto della durata di almeno tre mesi.

In seguito, però, con le modifiche apportate all'Ordinamento Penitenziario con la legge 10 ottobre 1986 n. 663 e con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10 ,il quadro normativo e giurisprudenziale è notevolmente mutato.

Alla luce del mutato quadro normativo infatti l'area di applicabilità dell'istituto dell'affidamento in prova deve necessariamente essere estesa, in quanto il mancato accoglimento del beneficio nei casi di pene detentive brevi comporterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento. Secondo i giudici di legittimità nei casi di entità esigua della pena," deve ragionevolmente presumersi che la gravità del reato e la capacità criminale del condannato siano estremamente ridotti. Conseguentemente, anche l'iter rieducativo può essere ben più breve di quanto ordinariamente avviene e può ritenersi più agevole la verifica da parte dell'Uepe."

Pertanto, nel caso di specie i giudici del Tribunale di Sorveglianza, affermano i giudici della Corte. "hanno totalmente obliterato una serie di dati essenziali sotto il profilo prognostico (ovvero la brevità della pena, il comportamento carcerario, la ridotta pericolosità sociale, ecc.) e non ha esaminato la personalità del richiedente, con particolare riguardo alla sua evoluzione dopo la commissione del reato, e la possibilità di un suo reinserimento sociale, con ciò omettendo di valutare gli elementi predittivi che, per giurisprudenza costante, devono essere considerati ai fini della concessione dell'affidamento in prova."

Per tali ragioni l'ordinanza impugnata è stata annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Torino per un nuovo e più approfondito esame.

Si allega sentenza