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Con l'ordinanza n. 14037 depositata lo scorso 21 maggio, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha rigettato le domande di una donna che, opponendosi alla pronuncia di divorzio, evidenziava come si fosse riconciliata con il marito.

Dando rilievo al dato per cui, durante i pochi mesi di convivenza, i coniugi non avevano avuto rapporti sessuali, la Cassazione ha precisato che " non è sufficiente, per provare la riconciliazione tra coniugi separati, considerati gli effetti da essa derivanti, che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale e provvisorio, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla separazione di una coppia di coniugi; il Tribunale di Prato, riscontrando che era decorso il termine triennale previsto dalla legge, dichiarava con sentenza non definitiva lo scioglimento del matrimonio dei coniugi, rigettando le richieste dell'ex moglie secondo cui il termine triennale era stato interrotto per effetto della riconciliazione intervenuta dopo l'omologazione della separazione consensuale.

La donna proponeva appello, dolendosi per non aver il giudice di primo grado valutato l'intervenuta riconciliazione dei coniugi, sicché la ricostituzione dell'affectio familiare rappresentava un fattore interruttivo della separazione e condizione di improcedibilità dell'azione di divorzio. 

La Corte di Appello di Firenze confermava la statuizione del giudice di prime cure.

Secondo il Collegio, infatti, non vi era stata alcuna ricostituzione dell'affectio maritalis, ma solo una ripresa temporanea di 4-5 mesi della convivenza dovuta ad interessi pratici di entrambi gli ex coniugi, ossia anche per comodità dell'ex marito, che si trovava più vicino al suo luogo di lavoro; la Corte, inoltre, valorizzava la circostanza per cui l'ex marito dormiva sul divano ed aveva intrattenuto una relazione extraconiugale ed i coniugi non avevano più avuto rapporti intimi.

Ricorrendo in Cassazione, la signora censurava la decisione della Corte di merito per aver omesso di considerare che la convivenza era ripresa, per il periodo di quattro-cinque mesi, con la finalità degli ex coniugi di prestarsi reciproca assistenza, essendo la ricorrente gravemente diabetica e l'ex marito convalescente per aver subito un delicato intervento chirurgico al cuore.

La difesa della donna evidenziava, inoltre, come i coniugi avevano ripreso a frequentare amici comuni, effettuare cene e viaggi di piacere, mentre la mancanza di intesa sessuale era dipesa unicamente dalla loro età avanzata, entrambi ultrasessantenni, e dalle condizioni di salute.

La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.

 In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che non è sufficiente, per provare la riconciliazione tra coniugi separati, considerati gli effetti da essa derivanti, che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale e provvisorio, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale.

Con specifico riferimento al caso di specie gli Ermellini evidenziano come i giudici di merito si siano attenuti ai suesposti principi, posto che le circostanze accertate (quali l'assenza di rapporti fisici, la relazione extraconiugale intrattenuta dall'ex marito durante la ripresa della convivenza, la scelta del marito di dormire sul divano, la ripresa della convivenza per solo 4-5 mesi) deponessero per la mancata ricostruzione della comunione spirituale e materiale.

La ricorrente, invece, ha prospettato una diversa ricostruzione, in fatto, della fattispecie concreta e si è limitata a riproporre la propria ricostruzione in relazione all'asserita riconciliazione, censurando la ricostruzione operata dai giudici di merito, senza allegare la specifica decisività delle circostanze che intendeva dimostrare rispetto alla valutazione probatoria effettuata dalla Corte territoriale.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna della
ricorrente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.