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 Con la pronuncia n. 1877 depositata lo scorso 17 luglio, la Corte di Appello di Milano, chiamata a quantificare i danni risarcibili a favore di una donna, di professione impiegata, che aveva subito ingenti danni a seguito di un intervento chirurgico, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza della riduzione della capacità lavorativa specifica, in quanto nessun specifico danno era stato documentato dalla paziente.

Accertato, infatti, che non erano ravvisabili "specifiche" interferenze delle menomazioni in atto nello svolgimento di mansioni previste da attività di tipo prettamente impiegatizio, la Corte ha ribadito che in tema di danno alla persona, la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, in quanto il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento di tutti i danni, comprensivi dei danni biologici, patrimoniali, morali e alla vita di relazione, patiti da una donna, di professione impiegata, a seguito di un intervento chirurgico di "diversione biliopancreatica secondo Scopinaro".

 La causa veniva istruita mediante conferimento di CTU medico legale, con incarico che veniva affidato ad uno specialista in chirurgia bariatrica e ad uno specialista in medicina legale.

La CTU, che si svolgeva in contraddittorio con i CTP, accertava che, pur essendo indiscusse le notevoli menomazioni dell'integrità psico-fisica riportate dalla donna a seguito della malpractice medica, cionondimeno non erano ravvisabili "specifiche" interferenze delle menomazioni in atto nello svolgimento di mansioni previste da attività di tipo prettamente impiegatizio.

Il Tribunale di Pavia dichiarava la responsabilità della struttura sanitaria nella causazione dei danni subiti dall'attrice, cui veniva riconosciuto, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la complessiva somma di € 374.035,89, oltre interessi.

La paziente, appellando la pronuncia di condanna, lamentava il mancato riconoscimento del danno patrimoniale.

La Corte di Appello non condivide la doglianza sollevata.

La Corte fornisce un interessante quadro in merito alle implicazioni di un danno macropermanente sulla capacità di produrre reddito e, conseguentemente, sulla risarcibilità del danno patrimoniale.

Si premette che il danno da lesione della "cenestesi lavorativa" – che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa – si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato onnicomprenivamente come danno alla salute: in tal caso, il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, può anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto.

 Di natura diversa è, invece, il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute, il quale è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio.

Difatti, in tema di danno alla persona, la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale, risolvendosi in una menomazione dell'integrità psico-fisica dell'individuo, è risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico.

Con specifico riferimento al caso di specie, i giudici di merito evidenziano come il Tribunale – dopo aver proceduto alla liquidazione del danno biologico applicando la personalizzazione nella percentuale massima prevista dalla tabella del Tribunale di Milano – aveva, in adesione con le risultanze della CTU, espressamente escluso la sussistenza della riduzione della capacità lavorativa specifica, in quanto nessun specifico danno era stato documentato dalla paziente, che prima dell'intervento aveva svolto solo attività lavorative saltuarie, con mansioni impiegatizie. Conseguentemente, le limitazioni conseguenti al danno biologico accertato non avrebbero potuto avere attinenza con lo svolgimento dell'attività impiegatizia, con esclusione della posta di danno lamentato.

In conclusione, la Corte respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Pavia.