prelievo-bancomat

 Un'avvocatessa nominata amministratrice di sostegno di più persone, viene segnalata al COA e denunciata alla procura con l'accusa di essersi appropriata di ingenti somme di denaro, prelevate dai conti e dagli sportelli bancomat dei propri amministrati.

Il caso riguarda un legale che, in funzione del proprio ruolo, aveva la possibilità di accedere ai conti dei propri tutelati, impossibilitati a gestirli a causa della propria condizione.

L'avvocatessa doveva pertanto amministrare tali conti nel loro interesse ed invece diventa la causa di ingenti danni patrimoniali.

Il Consiglio distrettuale di disciplina interviene ritenendola responsabile delle condotte contestate e, accertata la responsabilità anche in sede penale, viene irrogata la sanzione disciplinare della radiazione. 

Difatti, nonostante non fosse contemplata tale sanzione per le singole condotte contestate, il Consiglio Nazionale Forense ritiene la condotta talmente grave da ritenere applicabili i principi di cui agli artt. 132 e 133 del codice penale.


Difatti, il codice deontologico in casi gravi ritiene applicabile in via analogica i principi di cui sopra ed in questo caso i comportamenti lo erano stati ed erano anche durati nel tempo e tale comportamento aveva quindi leso l'immagine dell'avvocatura.

L'avvocatessa aveva tentato di difendere il proprio operato, dichiarando di essere soggetto incensurato e nel merito ella affermava che, non era stata provata l'estraneità dei prelevamenti agli interessi degli amministrati ed ancora il tentativo di un ravvedimento operoso, non possibile però per il sequestro preventivo a seguito della condanna penale.

Ma la difesa dell'avvocatessa non appare esaustiva in quanto era provato il comportamento della stessa che, sistematicamente, aveva prelevato somme di denaro senza provvedere a rendere i conti della gestione al Giudice tutelare. 

Per il CNF la condotta del legale integra gli estremi di un comportamento lesivo dei canoni di lealtà e correttezza, danneggiando tutta la categoria e ledendo l'immagine e l'affidamento che la società ripone verso la figura dell'avvocato nella sua funzione pubblica.


In questo caso l'avvocatessa aveva approfittato di tale ruolo, pertanto è corretta la sanzione della radiazione irrogata dal Consiglio distrettuale di disciplina, in quanto non il frutto di un calcolo matematico ma conseguenza della gravità della condotta tenuta dalla professionista.

La sentenza n. 127/2022 del CNF, afferma pertanto il principio per cui il codice deontologico forense offre la possibilità "nei casi più gravi" di individuare la sanzione disciplinare più adeguata, tenendo conto che anche se per ogni singola condotta la radiazione non è contemplata, è possibile irrogare una sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale e gli organi disciplinari in mancanza di una previsione di legge contraria si avvalgono, in via di applicazione analogica, dei principi desumibili dagli art. 132 e 133 del codice penale.

Il collegamento tra i due articoli attribuisce al giudice il potere discrezionale nella quantificazione della sanzione il cui uso è corretto e legittimo se sorretto da una motivazione da cui risulti che siano stati esaminati e valutati i parametri indicati dall'articolo 133 che riguarda appunto la gravità del reato.