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Dal 24 ed al 28 ottobre 2001 a Palermo al Palazzo Steri si era tenuto un Convegno, organizzato dalla cattedra di Storia e filosofia della facoltà di Scienze dell'Università, sulla formazione della cultura locale dell'età giollittiana. Il Convegno, patrocinato dalla Regione, è stata l'occasione per una commemorazione ufficiale sulla figura e sull'opera di Giovanni Gentile: il filosofo che fu anche ministro dell'istruzione pubblica e della cultura durante il periodo fascista.

Un altro Convegno, per il mese di novembre dell'anno successivo si era svolto a Messina e a Napoli sulla figura di Benedetto Croce, a cinquant'anni dalla morte. E si sa come queste due figure abbiamo attraversato nel dibattito filosofico la prima metà del secolo scorso. Nonostante Giovanni Gentile fosse più giovane di nove anni di Benedetto Croce, fu il primo ad orientare il filosofo di Pescasseroli.

Sodali, in prima fase, antagonisti in un periodo successivo, soprattutto, dopo il discorso di Mussolini alla Camera il 3 gennaio 1925 quando il "Duce" arroga a sé ogni responsabilità politica di tutti i misfatti, gli assassini, i pestaggi, gli incendi delle Camere del lavoro eseguiti fino a quel momento dalle squadracce fasciste.

Giovanni Gentile era nato nel 1875 a Castelvetrano, cittadina sulla costa sud-occidentale della Sicilia, famosa, nel bene come nel male, ieri come oggi, per motivi storico-culturali e di cronaca. 

Da quel Comune dipende Selinunte, costruita su una collina di fronte il mare d'Africa. Antica colonia greca, fiorente nel V secolo a.C. e distrutta nel 409 a.C. dai Cartaginesi. Oggi depositaria dei resti di ben 9 templi, di un'Acropoli e di due santuari.

All'inizio degli anni cinquanta, nel cortile dell'abitazione di un insegnante di scuola elementare di Castelvetrano, De Maria, fu rinvenuto il corpo del famosissimo bandito Salvatore Giuliano.

Giovanni Gentile, dunque, da Castelvetrano che, dopo oltre mezzo secolo dalla sua morte, richiama a Palermo un consistente numero di studiosi e docenti universitari.

Il prof. Giuseppe Cacciatore, dell'Università Federico II di Napoli motiva lo scopo di questa, come della successiva iniziativa: "L'interesse per questi due personaggi non è né celebrativo né nostalgico, ma è dovuto alla necessità di tracciare il percorso della filosofia italiana, che sembra interrotto a partire dal secolo scorso. Finora, infatti, lo studio del nostro Novecento è stato completamente trascurato. Bisogna passare da loro se vogliamo cogliere l'originalità della tradizione nazionale. A prescindere dalle loro divergenze, restano due straordinari teorici, nonché organizzatori culturali, soprattutto se raffrontati con la pochezza che esprime l'orientamento filosofico di oggi".

Ed il docente di Filosofia dell'Ateneo palermitano Piero di Giovanni, uno degli organizzatori del Convegno, è ancora più esplicito contro ogni tentazione di facile revisionismo: "Non si tratta di scrivere un'altra pagina di revisionismo tanto di moda, ma di fare i conti con il nostro passato. Dopo l'ubriacatura del pensiero occidentale consumata con l'opera dei mostri sacri, Marx, Engels, Nietzsche, Heidegger, finalmente si torna a parlare di filosofia italiana. Abbiamo il dovere di conoscere quello che è alle nostre spalle: un passato prossimo da cui dipendiamo cronologicamente e culturalmente". 

Ma cosa c'entra"Libera Stampa", quotidiano svizzero del Partito Socialista Ticinese (PST) di lingua italiana con la morte di Giovanni Gentile?

Il Partito Socialista Ticinese è stato rifugio di tutti i fuoriusciti italiani, e non solo, a partire dall'instaurazione del fascismo in Italia, sia, soprattutto, dopo l'8 settembre 1943.

Una delle figure di spicco dell'antifascismo italiano. Ignazio Silone fu uno dei più stretti collaboratori del quotidiano socialista e si occupò per molti anni delle pagine culturali. Il suo capolavoro, "Fonte amara", lo pubblicò a puntate in Appendice il quotidiano socialista.

Invece c'entra, tenendo fede alla ricerca di Luciano Canfora ("La Sentenza" editore Sellerio, Palermo, 1985). Infatti dalle pagine del quotidiano socialista ticinese partì la condanna a morte di Giovanni Gentile con una "Lettera aperta"che il latinista Concetto Marchese indirizza a Giovanni Gentile il 24 febbraio 1944. La Lettera era una risposta ad un precedente articolo-proclama pubblicato da Gentile sul "Corriere della Sera" il 28 dicembre 1943. Un articolo con il quale Giovanni Gentile esortava gli italiani alla concordia anteponendo gli egoismi di parte agli interessi della patria.

La "Lettera" di Marchese, con qualche variante importantissima , venne pubblicata successivamente dalla rivista clandestina del Partito comunista "La Nostra Lotta" nel marzo 1944.

Mentre Marchesi chiude la "Lettera" su "Libera Stampa" con queste parole: "Quanti oggi invitano alla concordia, invitano ad una tregua che dia temporaneo riposo alla guerra dell'uomo contro l'uomo. No: è bene che la guerra continui, se è destino che sia combattuta. Rimettere la spada nel fodero, solo perché la mano è stanca e la rovina è grande, è rifocillare l'assassinio. La spada non va riposta, va spezzata. Domani se ne fabbricherà un'altra? Non sappiamo. Tra oggi e domani c'è di mezzo una notte ed una aurora".

Sulla "Nostra Lotta" la chiusura è più esplicita: "Quanti oggi invitano alla concordia, sono complici degli assassini nazisti o fascisti; quanti invitano oggi alla tregua vogliono disarmare i Patrioti e rifocillare gli assassini nazisti e fascisti perché indisturbati consumino i loro crimini.

La spada non va riposta finché l'ultimo nazista non abbia ripassato le Alpi, finché l'ultimo traditore fascista non sia sterminato. Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: MORTE!". La chiusura di questo testo la troviamo anche in un manifesto clandestino del Comitato di Liberazione nazionale del marzo del 1944.

Ed il 15 aprile del 1944, quando il fascismo è allo sbando, Giovanni Gentile viene ucciso a Firenze, mentre rientrava a casa.