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Con la sentenza n. 17695, depositata il 29 aprile 2019, la Corte di Cassazione affronta il tema della causa di esclusione della punibilità che può trovare applicazione in caso di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali.

La corte di appello di Milano, infatti, aveva condannato la legale rappresentante di una società per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti avendo ritenuto che la stessa, pur avendo effettuato il versamento di quanto dovuto, fosse decaduta dal termine per ottenere il beneficio della non punibilità.

Avverso la sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione, sotto svariati motivi, ma principalmente le questioni poste dal ricorrente riguardavano l'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della causa di non punibilità prevista dal D.L. n. 463 del 1983, art. 2, comma 1 bis, secondo il quale "il datore di lavoro non è punibile se non provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione".

La Corte di Cassazione si trova quindi nuovamente alle prese con questa causa di non punibilità. 

Non sussistono dubbi sull'indicazione dell'oggetto della condotta riparatoria in quanto deve trattarsi della somma oggetto di contestazione, corrispondente all'oggetto materiale della condotta omissiva penalmente sanzionata.

A venire in rilievo, invece, è il dies a quo entro il quale il pagamento deve essere effettuato per conservare il suo effetto estintivo.

Nel caso di specie, infatti, all'imputato non era stato pacificamente notificato l'avviso di accertamento della violazione, di talché il GUP aveva operato la sua rimessione in termini affinché potesse effettuare tempestivamente il versamento.

Erano seguiti una serie di rinvii, necessari per individuare con precisione il quantumdella violazione. Il pagamento era stato effettuato, da ultimo, per il tramite del curatore della società fallita a cui l'imputato aveva, per tempo, consegnato un assegno dell'importo dovuto (rifiutato dall'agente della riscossione).

In mancanza di contestazione o della notifica dell'avvenuto accertamento delle violazioni da parte dell'ente previdenziale, pacificamente la Cassazione ricorda come il decreto di citazione a giudizio possa ritenersi equivalente alla notifica dell'avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all'imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall'indicazione del periodo di omesso versamento e dell'importo, la indicazione della sede dell'ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l'avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità.

Nel caso di specie, peraltro, osservava la Corte come con i continui rinvii il GUP avesse operato la sua rimessione in termini. 

Peraltro, stante il fatto che v'era stato un fallimento, l'obbligato (nel nostro caso l'imputato) non poteva effettuare direttamente il versamento, ma era tenuto a sollecitare il liquidatore o il curatore affinchè adempisse al pagamento nel termine trimestrale decorrente dalla contestazione o della notifica dell'avvenuto accertamento della violazione.

Ne consegue che la tempestiva consegna al curatore fallimentare dell'assegno circolare dell'importo esattamente corrispondente al debito contributivo – a lungo rifiutata dall'agente della riscossione – avrebbe comunque legittimato a tutti gli effetti l'applicazione della causa di non punibilità, a prescindere dal rifiuto del pagamento opposto dall'agente della riscossione il quale non può rendersi arbitro delle vicende relative alla punibilità di un reato.

Ne consegue la cassazione della sentenza e la applicazione della causa di non punibilità.