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Con la sentenza in commento, la n. 12490, depositata lo scorso 20 aprile, la Corte di Cassazione ha precisato i limiti della critica che può essere operata dal CT di parte all'elaborato peritale.

Nel caso sottoposto all'esame della Corte un CT di parte era stato condannato per diffamazione aggravata ai danni del consulente di ufficio poiché nelle proprie note alla perizia ne aveva offeso la reputazione.

La difesa aveva sottolineato come l'imputato avesse agito al solo scopo di rimarcare l'erroneità e la fallacia delle conclusioni peritali essendosi limitato a criticare l'opera del CTU e non certo la sua persona.

La Corte nel rigettare il motivo di impugnazione ha precisato la definizione del concetto di continenza accolto in giurisprudenza.

I giudici di legittimità hanno ricordato infatti che nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta al fine di verificare se i toni utilizzati dall'agente siano pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere. 

In questo senso hanno precisato che "il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta, ossia strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione".

In conseguenza, hanno ritenuto che il legame tra le critiche all'elaborato e all'attività del consulente del giudice, da una parte, e il riferimento al suo autore, dall'altro, non inficiassero il nucleo essenziale della decisione dei giudici di merito che avevano ravvisato nel linguaggio dell'imputato un utilizzo di espressioni gratuitamente denigratorie, sovrabbondanti e sproporzionate rispetto alla finalità di critica tecnico-scientifica cui esse erano destinate nell'ambito della causa civile.