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Con sentenza n.2565/2022 del 6 aprile 2022 il Consiglio di Stato, nell'ambito di una causa inerente ad una domanda di condono edilizio, ha analizzato l'esercizio dei poteri di autotutela al fine di verificare se in capo all'amministrazione sussista un obbligo giuridico di provvedere, che possa legittimare l'attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici (fonte https://www.giustizia-amministrativa.it/).

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa

Il dante causa del ricorrente ha presentato nel 1995 una domanda di condono, ai sensi della L. n.724/1994 per la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione. Su detta istanza la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio ha espresso parere negativo. Pertanto i ricorrenti hanno chiesto "di accertare in autotutela e dichiarare l'illegittimità, la nullità e, comunque annullare il parere negativo vincolante in relazione al chiesto rilascio dell'autorizzazione paesaggistica […]".

Tale richiesta è rimasta senza riscontro con la conseguenza che i ricorrenti hanno adito il Tar, impugnando il silenzio serbato dall'Amministrazione. Il Tar ha respinto il ricorso.

Così il caso è giunto dinanzi al Consiglio di Stato.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità.

La decisione del Consiglio di Stato

In primo luogo, i Giudici d'appello hanno rilevato che "non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto" (ex multis Cons. Stato, Sent. IV, 4 novembre 2020, n. 6809). 

 Ad avviso del Consiglio di Stato, con l'istanza di riesame di un provvedimento sfavorevole precedentemente emanato, presentata dal privato, non scaturisce alcun obbligo per la pubblica amministrazione, in quanto detta istanza ha valore di mera sollecitazione o segnalazione priva di valore giuridicamente cogente (Cons. Stato, Sent. IV, 9 luglio 2020, n. 4405). Tale valore risulta:

  • confermato dall'art.21 nonies della L. n. 241/1990 che prevede l'iniziativa di annullamento dell'atto solo come mera "possibilità",
  • giustificato, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi, non tempestivamente contestati (Cons. Stato, Sent. V, 24 settembre 2019, n. 6420).

A questo deve aggiungersi che l'adozione del provvedimento di autotutela non è un rimedio generalizzato, trattandosi di un rimedio cui si ricorre ove sussistano specifiche ragioni di giustizia ed equità di regola normativamente determinati. L'eccezionalità del richiamo alle esigenze di giustizia che giustificano l'esistenza di un obbligo di esame dell'istanza di autotutela è dimostrato in tutte quelle ipotesi in cui vi siano "tratti di peculiarità che giustificano la non operatività del principio generale della insussistenza di un obbligo di provvedere sulla domanda di ritiro in autotutela di un precedente provvedimento adottato dall'amministrazione" (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n.183/2020); come ad esempio nel caso di un ordine di demolizione, adottato dal Comune sul presupposto di una sentenza di condanna penale, allorquando risulti al contempo pendente, in detta sede, incidente di esecuzione diretto alla revoca del medesimo

Sul punto il Collegio ha richiamato la giurisprudenza amministrativa secondo cui "La proposizione dell'esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare, un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l'attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici; questo principio trova non solo conferma testuale nella lettera dell'art.21 nonies della l. n. 241/1990 che prefigura l'iniziativa di annullamento dell'atto in termini di mera "possibilità", ma si giustifica, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi, non tempestivamente contestati" (Cons. Stato, Sent. V, 24 settembre 2019, n. 6420).

Quanto al caso di specie, il Collegio ha rilevato la mancanza di una peculiarità tale da giustificare una deroga al principio della insussistenza dell'obbligo di provvedere sulla domanda di ritiro in autotutela, in quanto piuttosto si tratta della prospettazione di "ordinari" vizi relativi alla ritenuta erronea collocazione dell'immobile ed al mancato richiamo nel provvedimento di diniego alle osservazioni proposte, ex art.10 bis L.241/1990, da far valere eventualmente con gli ordinari strumenti di tutela.

Alla luce delle considerazioni in esame, pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il ricorso e l'ha respinto.