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 Con sentenza n. 20355 del 31 luglio 2018, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite,  ha stabilito che commette illecito disciplinare, per violazione dei doveri di diligenza, il magistrato che, ricevuto il fascicolo relativo al primo di episodi di violenza in famiglia e ricevute le informative in merito alla reiterazione di tali episodi, omette di avviare qualsiasi prudenziale iniziativa per sottoporre l'autore delle violenze a misure più restrittive rispetto agli arresti domiciliari. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità. Il ricorrente, procuratore della Repubblica e componente del gruppo specializzato in delitti contro minori, donne e soggetti deboli, è stato assegnatario di un procedimento avente ad oggetto le violazioni cagionate da un uomo nei confronti della convivente. Il procuratore, ricevuto il fascicolo relativo al primo episodio di tali violenze, è stato informato del fatto che tali violenze perpetrate in danno della donna, sono state reiterate dal compagno di quest'ultima. Malgrado tali informative e l'aggravamento della posizione dell'autore di tali episodi, il procuratore si è limitato ad emettere l'avviso di cui all'art. 415 bis c.p.p. (Avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari), omettendo (rispetto al primo episodio) qualsiasi attività investigativa ed ogni prudenziale iniziativa circa l'aggravamento della misura (arresti domiciliari) cui era sottoposto il convivente della vittima. È accaduto che quest'ultima, nel corso dell'ultimo episodio di violenza, è stata uccisa dal compagno e la Sezione disciplinare ha ritenuto il procuratore della Repubblica responsabile di aver recato un danno ingiusto alla vittima, "lasciata alla mercé del convivente e del suo pervicace comportamento lesivo".

In pratica, il Giudice disciplinare:

  • ha ritenuto che il magistrato ha posto in essere una condotta in violazione del fondamentale dovere di diligenza e conseguentemente
  • ha comminato allo stesso la sanzione prevista, ossia la perdita dell'anzianità per due mesi.

La questione è giunta dinanzi alla Suprema Corte. Nel caso di specie, innanzitutto, bisogna partire dall'esame della normativa vigente in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati, D.lgs. n. 109/2006. Orbene, l'art. 1 di tale decreto stabilisce che "il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni". Ne consegue che la condotta del magistrato posta in essere in violazione di tali doveri costituisce un illecito disciplinare. A parere dei Giudici di legittimità, nella fattispecie di cui stiamo discorrendo, il comportamento del procuratore della repubblica integra proprio questo tipo di illecito e ciò in considerazione del fatto, che il magistrato:  

ha sottovalutato la gravità del pericolo a cui era esposta la vittima; senza dare giusta rilevanza agli interessi coinvolti nella vicenda e quindi senza valutare il caso concreto, non è andato oltre il mero dettato delle norme codicistiche, limitandosi solo ad osservare le regole formali che apparentemente sembravano essere applicabili alla vicenda.

Un attento e non superficiale esame della questione sottoposta al vaglio del ricorrente avrebbe sicuramente portato quest'ultimo ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire ulteriori e più gravi danni alla vittima.

Infatti, a parere della Suprema Corte, nella fattispecie in esame sussiste il nesso di causalità tra la condotta del ricorrente e l'evento; una condotta (quella posta in essere dal magistrato) vietata disciplinarmente. In buona sostanza, l'illecito commesso dal magistrato è fruttodi un comportamento assunto nell'esercizio delle sue funzionidi un comportamento che viola uno (o più) dei doveri elencati dal predetto art. 1di un comportamento che ha causato un ingiusto danno o un indebito vantaggio ad una delle parti.

Il nesso di causalità in questione, in ragione della morfologia dell'illecito disciplinare e di tale sua precipua natura, investendo direttamente il piano personale del soggetto interessato, nella sua estrinsecazione professionale, deve, al pari di quello concernente la materia dell'illecito penale, essere indagato e accertato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica e in forza della regola di funzione "oltre il ragionevole dubbio" [..]. Giudizio, questo, perfettamente calzante per il caso in esame. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte ha ritenuto che sia stata adeguata la sanzione disciplinare irrogata al magistrato, ai sensi dell'art. 12, D.Lgs. n. 109/2006, secondo cui "[...] si applica una sanzione non inferiore alla perdita dell'anzianità per […] i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti". D'altro canto, il ricorrente non poteva aspettarsi che il Giudice disciplinare applicasse una sanzione a sé più favorevole, dal momento che quest'ultima è stata irrogata nel suo minimo edittale, così come previsto dall'art. 8 del succitato decreto ("la perdita dell'anzianità non può essere inferiore a due mesi e non può superare i due anni"). In virtù di tale ragionamento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del magistrato, compensando le spese di giudizio.