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Riferimenti normativi: Art.32 D.P.R.n.600/73 – art.51 D.P.R.n.633/72

Focus: I movimenti bancari sospetti costituiscono una presunzione legale in favore dell'Erario e ciò ha comportato negli ultimi anni l'intensificarsi del numero degli accertamenti fiscali da parte dell'Agenzia delle Entrate.

Principi generali: L'Agenzia delle Entrate nel momento in cui rileva sui conti correnti bancari dei contribuenti un movimento sospetto di denaro presuppone di trovarsi dinanzi ad un caso di evasione fiscale e procede ad accertare eventuali scostamenti tra il reddito dichiarato ed i movimenti del conto corrente del contribuente. Infatti, in tema di accertamenti fiscali, l'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e l'art. 51 del D.P.R. n. 633/1972 prevedono una presunzione legale in favore dell'erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall'articolo 2729 c.c. per le presunzioni semplici, al fine di emettere gli avvisi di accertamento. L'onere della prova incombe sul contribuente e, quindi, detta presunzione può essere superata da quest'ultimo attraverso una prova analitica, con specifica indicazione di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili. Consegue che è obbligo del giudice di merito verificare con rigore l'efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (cfr:Cassazione n. 13112 del 2020; Cassazione n. 10480 del 2018).

Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 20612 del 28 giugno 2022 (udienza 26 gennaio 2022). Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso tre avvisi di accertamento, per gli anni 2006-2007-2008, nei confronti di un contribuente esercente l'attività di commercio di orologi e gioielleria. Con essi venivano recuperati a tassazione i maggiori importi dovuti, a titolo di Irpef ed Irap, per i ricavi più alti accertati e per un più elevato valore della produzione, nonché le maggiori somme dovute, a titolo di Iva, per operazioni imponibili non dichiarate. La Commissione tributaria provinciale, dinanzi alla quale il contribuente ha impugnato i tre avvisi di accertamento correlati ai distinti anni di imposta, ha riunito i tre ricorsi proposti e li ha accolti parzialmente. Infatti, ha ridotto i valori accertati di un importo pari a 30.000 euro annui per spese familiari ed ha riconosciuto il costo di componenti negativi nella produzione del reddito, pari a circa l'80% dei ricavi accertati. Infine, per quanto attiene l'IVA ha ritenuto applicabile nella fattispecie il regime speciale del margine, trattandosi di operazioni di commercio di orologi usati effettuate per conto di un collezionista. La sentenza di primo grado è stata impugnata dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che ha accolto l'appello limitatamente ad un motivo di censura, rettificando al ribasso la base imponibile dell'avviso di accertamento, mentre ha accolto totalmente l'appello incidentale dell'Agenzia delle Entrate, confermando gli avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008 e disponendo la limitata riduzione dei valori accertati, ai fini Irpef ed Irap, per l'anno 2006. Conseguentemente, la sentenza d'appello è stata impugnata dal contribuente dinanzi alla Corte di Cassazione per diversi motivi.

Tra essi il ricorrente ha eccepito, innanzitutto, la carenza di motivazione del provvedimento autorizzativo delle indagini bancarie dalle quali sono scaturiti gli avvisi di accertamento emessi, in quanto lo stesso non sarebbe stato messo a disposizione del contribuente né allegato agli accertamenti, al pari delle richieste di indagini bancarie formulate dall'organo ispettivo. Il ricorrente ha, altresì, eccepito che, accogliendo l'impugnazione incidentale dell'Agenzia delle Entrate, il giudice di secondo grado, in violazione dell'art.32 del D.P.R.n.600/73, non ha riconosciuto l'incidenza dei costi nella determinazione del maggior reddito accertato né ha considerato che parte dei prelievi in denaro erano serviti per il mantenimento del ricorrente e della famiglia. In tal modo, non sono state prese in considerazione le giustificazioni addotte dal contribuente in ordine ai prelevamenti effettuati ma è stata valorizzata solo la presunzione legale a favore dell'Erario. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo infondati i motivi del ricorso. In particolare, la Cassazione ha ribadito l'orientamento secondo cui "in tema di accertamento delle imposte, l'autorizzazione necessaria agli uffici per l'espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall'indicazione dei motivi non solo perché in relazione ad esse la legge non dispone alcun obbligo di motivazione ma anche in quanto la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplica una funzione organizzativa incidente solo nei rapporti tra uffici ed ha natura di atto meramente preparatorio con la conseguenza che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali è previsto dall'art.3, c.1, della L.n.241/90 e dell'art.7 della L.n.212/90 un obbligo di motivazione". La Suprema Corte ha, poi, evidenziato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l'art.32 del D.P.R.n.600/73 fonda una presunzione relativa circa la natura di ricavi sia dei prelevamenti sia dei versamenti su conto corrente.Tale presunzione è superabile attraverso la prova, da parte dei contribuenti, che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari anziché costituire acquisizione di utili. Pertanto, in linea con la sentenza impugnata, il giudice di legittimità ha ritenuto che la presunzione legale in favore dell'Erario non sia stata superata dalla prova fornita dal contribuente, non essendo stata prodotta una prova analitica e idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili.