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Con la sentenza n. 31561 dello scorso 17 luglio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di assoluzione pronunciata verso un uomo che, decaduto dalla responsabilità genitoriale per aver compiuto atti di pedofilia nei confronti dei figli, non aveva versato l'assegno di mantenimento nel periodo durante il quale era detenuto in carcere per quel grave reato, sul presupposto che il dovere di assicurare ai figli minorenni i mezzi di sussistenza non viene meno con la decadenza dalla responsabilità genitoriale, né è escluso automaticamente dalla condizione di detenzione.

Il caso sottoposto dall'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'articolo 570, comma 2 n. 2 c.p., per avere fatto mancare – dall'anno 2006 e con condotta perdurante – alla moglie e ai figli minorenni, affidati in sede di separazione alla madre, la somma mensile fissata dal Giudice civile quale contributo per il loro mantenimento.

Per tali fatti, il Tribunale di Castrovillari condannava l'uomo alla pena ritenuta di giustizia.

La Corte di Appello di Catanzaro riformava la decisione assunta dal giudice di primo grado e, per l'effetto, assolveva l'imputato. 

Alla base di tale assoluzione, la Corte evidenziava che, poiché l'imputato era stato detenuto dal 2006 al 2010 per gravi reati di pedofilia commessi proprio nei confronti dei figli, era da ritenersi scriminata la sua condotta, in quanto in costanza di detenzione era stato privato del diritto di vedere i figli; la sentenza di assoluzione osservava altresì come la condotta contestata si collocasse in un quadro di rapporti familiari di tale gravità da cancellare la rilevanza del reato ascrittogli, che restava necessariamente assorbito dal più grave reato di pedofilia.

La parte civile proponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione di legge penale e dell'art. 570 c.p..

La ricorrente evidenziava come il reato ascritto all'imputato, trattandosi di reato permanente, esigeva una valutazione della condotta anche a partire dal momento in cui era cessata la detenzione: a far data dal 2010, infatti, il padre, dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale e ottenuto il divorzio, non aveva più avuto, per sua scelta, rapporti con i figli, né aveva mai provveduto al loro mantenimento, pur percependo, quale disoccupato, una indennità di mobilità.

La Cassazione condivide le tesi difensive della persona offesa. 

In punto di diritto gli Ermellini rilevano come il dovere di procurare i mezzi di sussistenza ai figli minorenni, ex art. 30, comma 1, della Costituzione, sussiste e rileva per la configurabilità del reato ex art. 570, comma 2, c.p. indipendentemente dalla formale attribuzione della responsabilità genitoriale e permane anche nel caso di decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Sul punto, la giurisprudenza ha specificato che i provvedimenti adottati ex art. 330 c.c. hanno la funzione di impedire che i figli subiscano pregiudizi, ma non valgono a liberare i genitori dai loro obblighi; ne deriva che lo stato di prolungata detenzione dell'obbligato non può considerarsi una causa giustificativa del suo inadempimento all'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza.

In relazione allo stato di detenzione dell'obbligato, gli Ermellini precisano che lo stesso può configurarsi quale scriminante a condizione che il periodo di detenzione coincida con quello dei mancati versamenti e l'obbligato non abbia percepito comunque dei redditi.

Conspecifico riferimento al caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata si è discostata dai principi di diritto sopra richiamati perché ha escluso la sussistenza dell'obbligo di mantenimento dei figli in considerazione dell'intervenuta decadenza dalla responsabilità genitoriale (che, di contro, non elide l'obbligo di assicurare ai figli i mezzi di sussistenza) e per lo stato di detenzione dell'imputato, trascurando altresì che la detenzione era cessata nel 2010 e che l'inadempimento dell'imputato si era protratto anche dopo la cessazione della detenzione.

In virtù di tanto, la Cassazione accoglie il ricorso dell'uomo, annulla la sentenza di impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.