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Con la sentenza n. 3731 dello scorso 1 giugno, la sezione terza del Tar Campania, ha confermato la legittimità di un provvedimento con cui era stata inibita la prosecuzione di un'attività commerciale di supermercato esercitata in dei locali commerciali che presentavano diverse difformità urbanistico-edilizie.

Il Collegio ha ricordato che "la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dell'art. 24 comma 3, d.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico – edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata".

Nel caso sottoposto all'attenzione del Tar, il Comune di Sorrento negava ad una commerciante la prosecuzione dell'attività commerciale di supermercato svolta in virtù di un contratto di locazione.

In particolare, il Comune di Sorrento aveva contestato ai proprietari del suddetto locale commerciale alcune difformità edilizio-urbanistiche oltre che il cambio di destinazione d'uso del locale dalla preesistente destinazione ad uso deposito all'attuale destinazione ad uso commerciale. In virtù di tanto l'ente pubblico intimava l'immediata cessazione dell'attività commerciale . 

A seguito dell'adozione del provvedimento inibitorio, su istanza presentata dai proprietari del locale, il Comune con permesso a costruire concedeva il mutamento di destinazione d'uso dei locali da C/3 a C/1, ossia da laboratorio a commerciale.

Ricorrendo al Tar, la commerciante chiedeva l'annullamento di tale provvedimento, deducendo come l'ordine di cessazione dell'attività non poteva fondarsi esclusivamente sul rilievo di mere difformità urbanistico-edilizio, laddove queste non compromettevano in misura determinante l'agibilità e la sicurezza dei locali, recando un concreto rischio per l'incolumità e la salute delle persone .

La ricorrente eccepiva inoltre la carenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento gravato, alla luce del successivo rilascio del permesso a costruire a seguito della pratica edilizia presentata dalla proprietà dell'immobile, con mutamento di destinazione d'uso dei locali da C/3 a C/1, ossia da laboratorio a commerciale.

Il Tar non condivide le difese mosse dalla ricorrente.

Il Collegio Amministrativo ricorda che l'esercizio di attività commerciale deve svolgersi in locali conformi e compatibili dal punto di vista urbanistico edilizio: nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui si intende svolgere l'attività, con la conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali. 

Conseguentemente, la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dell'art. 24 comma 3, d.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico – edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.

Con specifico riferimento al caso di specie, il Collegio evidenzia come le contestazioni sul titolo edilizio non possano essere considerate aspetti del tutto secondari, trattandosi della rilevata mancanza della destinazione di uso compatibile con l'esercizio di attività commerciale, solo successivamente rilasciata.

In relazione al postumo rilascio del permesso a costruire, i Giudici amministrativi rilevano come la ricorrente avrebbe potuto sollecitare l'amministrazione, anche nelle forme degli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo, ad accertare il venir meno degli elementi contestati ed ad annullare in autotutela il provvedimento; ciò non è stato, tuttavia, richiesto dalla parte.

Alla luce di tanto, il Tar rigetta il ricorso.