Era nato da soli 27 giorni. Era un fagottino di ossa e pelle, con un cuore e il respiro della vita. Non è morto sotto le bombe, ma perché nessuno gli ha dato da mangiare. È morto per fame, in un ospedale privo di tutto: latte, corrente, futuro. E non è più nulla, è solo uno dei tre neonati morti di inedia in pochi giorni a Gaza. E noi, i Paesi che ci diciamo civili, democratici, umani, cosa stiamo facendo di fronte a questo massacro?
Da mesi Gaza è un laboratorio del disumano. Una prova generale di annientamento sotto gli occhi del mondo. Il cibo è diventato un'arma, la strage per fame come un'atomica. «Non un solo chicco di grano per la Striscia» ha dichiarato con orgoglio un ministro israeliano, Smotrich. E non era una metafora. Era un programma, l'inizio di un assedio totale, progettato, e poi attuato. Ricordo una frase, notissima, di Goya, il sonno della ragione genera mostri, la scelsero come tema ad un esame di maturità, ditemi se non esprime il male che sta accadendo. Come ai tempi della Shoah quando ad essere annientati furono i progenitori dei protagonisti di questa caccia all'uomo.
Oggi, la fame ha un volto: quello scavato, spaventato, immobile di quel neonato senza nome, di migliaia di bambini scheletrici. Lo hanno detto le Nazioni Unite, lo hanno ripetuto le Ong internazionali: la carestia non è imminente, è già cominciata. E non è una conseguenza collaterale, ma un obiettivo deliberato, mascherato da retorica sulla sicurezza. Gaza è stata affamata scientificamente, e cinicamente.
Israele parla di crisi artificiale provocata da Hamas. Ma la verità è un'altra. Convogli umanitari parcheggiati per giorni, permessi distribuiti col contagocce, alimenti lasciati marcire. L'Onu, a cui era affidata l'assistenza, è stata messa da parte. Al suo posto hanno creato una fondazione "umanitaria" gestita da uomini armati, scelta da Tel Aviv e Washington. Un'organizzazione che distribuisce pacchi alimentari inutilizzabili da una popolazione che non ha gas per cucinare, né la forza di attraversare zone di guerra per raggiungerli.
Nel frattempo, i camion dell'Onu restano fermi. Quelli della Ghf passano. Ma Gaza muore lo stesso. Perché 36 camion al giorno non sfamano due milioni di persone. Ed è così che le file del pane si trasformano in carneficine e i più deboli, i neonati, gli anziani, i malati, non arrivano in tempo. E quando lo fanno, trovano razioni insufficienti o inutilizzabili. Muoiono così. Di fame e in fila. Come si moriva, anche in fila, nelle camere a gas. Mi dispiace ma tra Netanyahu e Goering o Himmler non riesco a vedere differenze.
E il Governo.italiano, e molti di quelli europei? Continuiano a parlare di "cessate il fuoco tattico", di "tregue di due o tre giorni". Ma che valore ha una tregua, quando la fame è la condanna a morte? Meloni e Tajani chiedono che questi bambini vivano due giorni di più, per poi morire? Il loro obbiettivo è concedere una pausa nella distribuzione della morte? Ricordo un film americano, con un condannato alla pena capitale cui veniva spostato di continuo il giorno dell'esecuzione. All'improvviso, venne "giustiziato". Questo ha un solo nome, sadismo.
Sappiamo tutto. Sappiamo che le scorte sono finite. Che 300 convogli attendono ogni giorno un via libera che non arriva. Che Israele ha distrutto tonnellate di alimenti e farmaci scaduti. Sappiamo anche che la fame è usata come pressione politica. Come strumento per far crollare Hamas. Qui non è in discussione solo il diritto internazionale. È in gioco l'essere umano. Il senso stesso della parola "umano". Non è più accettabile che si taccia. Non è più sopportabile che la fame sia uno strumento di guerra e che le democrazie occidentali – complici, silenziose, ambigue – lo tollerino.
Se il diritto internazionale ha ancora un cuore, deve battere adesso. Se la comunità delle nazioni ha ancora un volto umano, deve mostrarsi ora. Non tra due o tre giorni. Non alla prossima tregua, al prossimo neonato morto.
Perché nessun chicco di grano è solo un chicco, se può salvare una vita. Il chicco di grano esiste, invece, per portare frutto, per portare molto frutto, e sono parole sacre scolpite nei Vangeli. Questo frutto deve chiamarsi, oggi, pace. Che l'umanità, la comunità delle Nazioni, i Governi europei, compreso quello italiano, devono provare ad imporre. Perchè ogni ora in più di fame è un colpo inferto all'umanità intera.