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Nel caso oggetto della sentenza in commento, la Corte si era trovata ad affrontare un tema tuttora dibattuto: la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel corso del giudizio di appello.

Nel caso di specie, gli imputati erano stati assolti all'esito del giudizio di appello condotto secondo le forme del rito abbreviato a seguito del rinvio disposto dalla cassazione in riforma di una sentenza di condanna nei loro confronti.

Gli approdi di tale decisione, che ripercorrono tematiche che sono state riaffermate anche in una successiva sentenza a Sezioni unite, sono ancora oggetto di dibattito soprattutto in punto di principio.

Le due tematiche infatti concernono: da un lato l'obbligo di dover disporre nuovamente l'audizione del testimone nel procedimento di appello; dall'altro, come viene declinato l'istituto della rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello in caso di rito abbreviato. 

In questo secondo caso, infatti, non è possibile parlare propriamente di rinnovazione dell'istruttoria, poiché il testimone viene sentito per la prima volta in appello essendo li giudizio abbreviato un giuramento tendenzialmente cartolare. 

Come hanno chiarito le sentenze delle Sezioni unite sul punto (l'ultima decisione a sezioni unite è la numero 14800 ud. 21 dicembre 2017, 3 aprile 2018), interpretando anche l'intervento del legislatore della riforma Orlando che ha introdotto il co. 3 bis dell'art. 603 c.p.p., il giudice di appello che intenda intenda assolvere un imputato dichiarato colpevole in primo grado non ha l'obbligo di assumere nuovamente la prova dichiarativa.

A ciò, infatti, può supplire con una adeguata motivazione, in grado di smentire punto per punto la ricostruzione offerta dal giudice di primo grado.

Ciò premesso, la sentenza di cassazione in commento trae la sua origine da un ricorso del procuratore generale della Corte di Cassazione, il quale impugnava la assoluzione per omessa assunzione di una prova decisiva proprio concernente l'audizione di alcuni testi.

Sosteneva infatti che la corte di merito nel giudizio di rinvio avesse violato i principi posti alla base del giusto processo provvedendo a rivalutare l'attendibilità di un teste, senza procedere nuovamente alla sua audizione. 

La corte con la sentenza n. 35261 del 2017 dichiara il ricorso inammissibile.

Anzitutto, infatti, la corte ribadisce la insindacabilità del potere del giudice in ordine alla decisione di rinnovazione dell'istruttoria in appello.

L'art. 627 cp.p. richiede, infatti, affinchè la rinnovazione venga disposta: 1. la rilevanza della prova dedotta e 2. la sua indispensabilità ai fini del giudizio.

Sottolinea quindi come non vi sia una completa disponibilità in capo alle parti delle prove: esse non hanno un diritto incondizionato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, perchè il giudice dispone in merito gli stessi poteri di quello la cui sentenza è stata annullata, e quindi è tenuto alla rinnovazione sempre che la prova sia indispensabile per la decisione, con l'ulteriore condizione che sia anche rilevante.

Ciò vale a maggior ragione nel caso del giudizio abbreviato in cui l'imputato ha accettato e rinunciato alla fase del dibattimento. In questo caso tendenzialmente, infatti, tutte le prove potrebbero essere assunte solo ex officio su richiesta dello stesso giudice.

Nel caso in esame, la Corte territoriale, quindi, la cui sentenza è impugnata, ha rigettato la richiesta di rinnovazione sul rilievo che le prove dedotte non fossero "nuove", concernendo elementi e circostanze già emerse, e che fossero dunque irrilevanti.

Tutto ciò con congrua e ragionevole motivazione.

Tale rilievo è dirimente ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Infatti, in conclusione, possiamo affermare che se il giudice d'appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è comunque tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dunque ritenuto che tale motivazione aggravata vi fosse stata e ha, di conseguenza, dichiarato inammissibile il ricorso.