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 La Legge 19 ottobre 2015, n. 173 a parziale modifica della Legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozioni, ha riconosciuto un importante principio quello del "diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare". Nello specifico, all'art. 1 sono stati introdotti tre nuovi commi: 5-bis, 5-ter e 5-quater. Il nuovo comma 5 bis prevede che qualora la famiglia affidataria chieda di adottare il minore, il tribunale per i minorenni nel decidere sull'adozione, deve considerare i legami affettivi significativi e il rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria, provvista dei requisiti di cui all'art. 6 della Legge.

L'uso da parte del legislatore di una formula così ampia ha destato da subito molte perplessità.

Se poi pensiamo alle ragioni che hanno portato il legislatore a prevedere la cd. "Legge sulla continuità affettiva" si capisce bene che le intenzioni dello stesso non erano dipendenti e conseguenza del fattore temporale, ma, trovano il necessario presupposto nel sopravvenuto stato di abbandono e nella significatività dei rapporti nati tra il minore e la famiglia affidataria.

Svariate le critiche mosse, a partire dal fatto che gli affidatari che intendano adottare il minore debbano avere i requisiti richiestidall'art. 6 della legge n. 184, al fatto che anche in questo caso è stato previsto il periodo di affidamento preadottivo.

Tale legge secondo alcuni ha significato che gli affidatari hanno un titolo preferenziale per l'adozione; altri invece ritengono di no,nel senso che il Giudice potrebbe comunque non per questo decidere a loro favore, pur dovendo tenere in considerazione i legami che si sono instaurati. La domanda è: se gli affidatari sono in possesso dei requisiti richiesti dalla legge perché però individuare una coppia diversa?

 A norma del comma 5 – ter è sancita una tutela alle relazioni socio affettive anche quando il minore torni nella famiglia d'origineo affidato o adottato da altri. Il comma 5 – quater ha sancito la necessità di considerare le valutazioni dei servizi sociali, ascoltando il minore di dodici anni o di età inferiore se capace di discernimento.

L'art. 2 introduce inoltre un'ipotesi di nullità prima non contemplata dalla legge e cioè quella secondo la quale "l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore".

Si sottolinea che tale dato normativo non vuole introdurre una nuova parte nel processo (ciò avrebbe ulteriormente rafforzato il ruolo degli affidatari), anche se il legislatore ha utilizzato il termine convocare e non più ascoltare, così rafforzandone il ruolo rispetto a prima nell'ambito delle diverse procedure di adottabilità e eliminando ogni dubbio sul fatto che tale convocazione debba avvenire da parte del Giudice e non tramite i servizi sociali. Condivisibile pare l'equiparazione tra affidatari e collocatari, d'altrondequesti ultimi sono persone che in genere conoscono perfettamente la situazione del minore avendolo accolto in casa o comunque essendo entrate in relazione con lui perché inserito nella propria comunità.

Inoltre, spessissimo accade che collocamenti o affidamenti "a rischio giuridico" si trasformino in affidamenti o collocamenti prolungati. E' interessante allora ricordare quanto accaduto nel famoso "caso Moretti"e vediamo perchè. 

 Due coniugi, già in passato affidatari con buoni esiti, avevano avuto in affidamento dal Tribunale di Venezia una neonata abbandonata dalla madre tossicodipendente già in ospedale. Un caso quindi in cui l'affido poteva essere evitato e che invece andò avanti per ben 18 mesi. Giunti al quarto mese, gli affidatari presentavano domanda di adozione della minore ai sensi dell'art. 44, lett. d), domanda alla quale però le Autorità non diedero riscontro alcuno. Per tale motivo ad un certo punto i coniugi reiteravano la domanda di adozione speciale, scoprendo però che, nel frattempo, il tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabilità della bimba, cui tra l'altro la madre biologica si era opposta, opposizione poi rifiutata. Il tribunale dei minori difatti si era attivato alla ricerca di una famiglia, non considerando assolutamente la richiesta della famiglia affidataria che nel frattempo aveva iscritto la bambina a scuola, l'aveva portata con sé in un viaggio facendo tutto quanto opportuno per la crescita della piccola. Nel 2005i magistrati però chiedono alla famiglia affidataria di aiutare la bambina per l'inserimento nella famiglia prescelta per il periodo di affidamento pre adottivo. Con decisione non notificata ai Moretti, il tribunale stabilisce il giorno in cui la minore doveva andare presso la nuova famiglia ed il giorno stesso quest'ultima viene allontanata dalla casa dove era cresciuta fino a quel momento con la forza pubblica. Era il 21 dicembre del 2005 ed il 3 gennaio del 2006 il Tribunale di Venezia respinge la domanda di adozione dei coniugi Moretti motivando che la scelta della nuova famiglia era stata fatta nell'interesse superiore della minore.

I coniugi Moretti però decidono di non arrendersi e si rivolgono alla Corte d'appello che, accogliendo il gravame annullava le pronunzie di rigetto delle domande di adozione sulla base del rilievo che lo stato di adottabilità non avrebbe dovuto essere dichiarato prima della pronunzia sulla domanda di adozione speciale dei ricorrenti. Tuttavia la corte non ritenne di annullare il provvedimento di affidamento temporaneo alla nuova famiglia ma, nominò un perito per stabilire se nel frattempo la minore si fosse inserita nel nuovo nucleo. Avendo la perizia stabilito che la piccola pur legata ad entrambi i nuclei familiari, si era già pienamente integrata, la corte non annullò il decreto di affidamento nell'interesse superiore della minore.

I coniugi Moretti decisero però di adire la Corte EDU, deducendo la violazione dell'art. 8CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) per l'illegittima ingerenza dovuta ad un'erronea applicazione della legge e delle norme procedurali ed inoltre l'art. 13 CEDU (diritto ad un ricorso effettivo) per l'iniquità del procedimento controverso e per non aver beneficiato di un ricorso davanti ad un giudice nazionale. La Corte concluse per la violazione dell'art. 8 CEDU constatando che vi era stato un grave difetto di procedibilità dichiarando lo stato di adottabilità prima che l'Autorità si fosse pronunziata sulla tempestiva domanda di adozione condannando ai sensi dell'art. 41 CEDU (vista l'irreversibilità della situazione) al pagamento di una somma per i danni morali e per le spese legali. La sentenza Moretti con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia, ha pertanto indicato l'esistenza di una falla nel sistema e ci ha costretti a riflettere su una questione determinante, cui oggi in parte grazie alla Legge sulla continuità affettiva si è posto fortunatamente rimedio: il diritto di un bambino affidato a non vedere violato indiscriminatamente ed immotivatamente il rapporto affettivo con coloro che lo hanno cresciuto o allevato fino all'adozione.