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 Con sentenza n.81 del 1° giugno 2022, il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato il tema se pubblicare un video sui social con l'invito pubblico a promuovere un'azione legale mettendosi anche a disposizione per l'eventuale assistenza legale gratuita, costituisca violazione del divieto di cui all'art. 37 codice deontologico o se piuttosto debba accertarsi in concreto se il comportamento posto in essere dall'avvocato costituisca o non accaparramento di clientela.

Fonte (https://www.codicedeontologico-cnf.it/)

I fatti del procedimento disciplinare

È stato presentato un esposto nei confronti di un Avvocato per aver pubblicato, agli inizi dell'emergenza pandemica, sul proprio profilo social un video nel quale ha espresso il proprio disappunto per l'apertura di un centro Covid all'interno di un condominio e contestualmente ha promosso la sottoscrizione di un atto di denuncia querela nei confronti della Regione, mettendosi a disposizione per l'assistenza legale gratuita in relazione al seguito della denuncia medesima.

Il CDD ha proceduto all'archiviazione dell'esposto non riscontrando alcuna violazione deontologica, in quanto l'avvocato ha pubblicato il video non nella sua qualità di professionista/avvocato "se non appunto nella presentazione", bensì nella veste di privato cittadino e padre di famiglia, esercitando libertà fondamentali e nella sincera convinzione che fosse necessario promuovere un atto di denuncia nei confronti della Regione per la preannunciata apertura di un Centro per la "raccolta" di persone affette da Covid.

 Il COA di appartenenza dell'incolpato ha proposto ricorso avverso il provvedimento di archiviazione sostenendo in particolare:

  • l'errata ricostruzione dei fatti da parte del CDD, in quanto dal video emergerebbe che l'avvocato avrebbe offerto servizi professionali, presentandosi quale "difensore" di coloro che sottoscrivessero la denuncia-querela con invito al pubblico del video a contattarlo;
  • la mancata considerazione della violazione del divieto di accaparramento della clientela di cui all'art.37, commi 1 e 4 codice deontologico forense, a norma del quale "l'avvocato non deve acquisire rapporti di clientela (...) con modi non conformi a correttezza e decoro" (comma 1) né deve offrire "sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico" (comma 4).

Costituitosi nel procedimento disciplinare, l'avvocato si è opposto all'accoglimento del gravame contestando l'accaparramento della clientela di cui all'art.37 c.d.f. ed evidenziando che la gratuità della prestazione forense è ammissibile, purché non contrasti con il decoro e la correttezza, mentre è vietata solo se finalizzata all'acquisizione della clientela.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio ha ricordato che nei procedimenti disciplinari l'oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato e che, secondo la propria costante giurisprudenza, costituiscono violazione disciplinare:

  • l'inosservanza dell'espresso divieto ex art.37 c.d.f. di offrire, senza essere richiesto, una prestazione rivolta a potenziali interessati per uno specifico affare (C.N.F. n. 97/2021);
  • l'offerta, diffusa anche attraverso siti internet, di prestazioni professionali gratuite o a prezzi simbolici, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico (C.N.F. n. 75/2021; C.N.F. n. 148/2019; C.N.F. n. 23/2019). 

 Nel caso di specie il Consiglio ha rilevato che il comportamento dell'incolpato non può ricondursi ad alcuna violazione delle norme deontologiche, attese le modalità e l'oggettività degli accadimenti.

Infatti, a parere del Consiglio, l'incolpato ha esaurientemente giustificato il suo comportamento, che non risulta essere stato assunto allo scopo di realizzare un accaparramento della clientela vietato dall'art.37 cit.

Al contrario è emerso con chiarezza:

  1. che il comportamento dell'avvocato è stato dovuto ad un profondo stato di agitazione e paura, che tra l'altro in quel periodo ha pervaso gran parte della popolazione;
  2. la natura non professionale della riflessione che l'incolpato ha condiviso sui social tramite il video pubblicato;
  3. che non ha fatto alcun cenno a sottoscrizione di conferimenti di incarichi o moduli a suo nome, offrendo solo disponibilità per l'assistenza legale gratuita in relazione al seguito di una denuncia all'autorità giudiziaria, denuncia che, come affermato dall'incolpato stesso, poteva essere presentata anche personalmente da qualunque cittadino;
  4. che non c'è stata alcuna nomina a difensore dell'avvocato nel procedimento da instaurarsi così che nessun accaparramento di clientela poteva sussistere.

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso proposto dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ed ha confermato il provvedimento di archiviazione del procedimento disciplinare a carico dell'Avvocato.