Immagine-WhatsApp-2024-12-31-ore-11.21.16_3cc9806d

Fonte: https://www.consiglionazionaleforense.it/

Con sentenza n. 2068 del 19 gennaio 2024 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato i principi alla base dell'esercizio della professione forense e del patrocinio in udienza da parte dell'avvocato stabilito, affermando che

  • nell'esercizio della professione l'avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine e
  • nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili nei quali è necessaria la nomina di un difensore l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato all'esercizio della professione con il titolo di avvocato.

I fatti del processo

Le Sezioni Unite hanno esaminato il ricorso di un avvocato avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense di conferma della decisione con cui il CDD ha dichiarato la responsabilità disciplinare e ha sanzionato l'incolpato con la sospensione di due mesi dall'esercizio della professione per aver partecipato a una udienza davanti al Tribunale

  • omettendo di esplicitare la propria qualità di avvocato stabilito e l'iscrizione alla giurisdizione presso la quale è stato ammesso a patrocinare nel suo Paese di origine,
  • in assenza di una scrittura privata autenticata o di una dichiarazione resa da entrambi gli avvocati dalla quale risultasse l'intesa prevista dall'art.8 D. Lgs. n.96/2001.

Il giudice disciplinare ha ritenuto che tali condotte siano state tenute in violazione

  • dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 codice deontologico forense),
  • del divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti (art.36 codice deontologico forense);
  • degli artt. 7 e 8 del D. Lgs. n.96/2001.

La decisione della Corte di Cassazione

Sul punto la Corte di Cassazione ha ricordato quanto stabilito dal D. Lgs. n.96/2001 che, in attuazione della della direttiva 98/5/CE, disciplina l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale.

L'art.7 del suddetto decreto disciplina l'uso del titolo stabilendo che:

  • nell'esercizio della professione l'avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine, indicato per intero nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di origine, in modo comprensibile e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato (comma 1);
  • l'avvocato stabilito deve aggiungere all'indicazione del titolo professionale l'iscrizione presso l'organizzazione professionale ovvero la denominazione della giurisdizione presso la quale è ammesso a patrocinare nello Stato membro di origine. 

Per quanto concerne la partecipazione alle udienze, l'art.8 del medesimo decreto sancisce che nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali e amministrativi e nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, 

a) l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori (art.8 comma 1);  

     b) la suddetta intesa deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell'assistito (art.8 comma 2).

Nel caso di specie la Suprema Corte ha rilevato la responsabilità disciplinare dell'incolpato il quale anziché esplicitare l'effettivo titolo di avvocato stabilito nel verbale di udienza ha utilizzato indebitamente il titolo di avvocato.

La Corte ha ravvisato, altresì, l'insussistenza della buona fede dell'incolpato, in quanto se fosse stato in buona fede avrebbe chiesto una correzione del titolo stesso in fase di verbalizzazione da parte del verbalizzante, ma ciò non è avvenuto.

Per questi motivi la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.