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È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del reato di adescamento di minorenne, ex art. 609 undecies c.p., rispetto al principio di offensività, determinatezza e della funzione rieducativa della pena.

Nel caso sottoposto all'esame della Corte, il ricorrente era stato condannato per aver, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, utilizzato una chat per adescare minori di anni quattordici, con lo scopo di compiere il delitto di atti sessuali con minorenni.

La corte di appello aveva riformato la sentenza di primo grado concedendo la sospensione condizionale della pena, ma confermando per il resto integralmente la condanna inflitta.

Proponeva ricorso per cassazione l'imputato chiedendo l'annullamento della sentenza eccependo l'incostituzionalità della disposizione di cui all'art. 609 undecies c.p. per contrasto con i principi di legalità, offensività e di finalità rieducativa della pena.

Lamentava infatti che il legislatore avrebbe travalicato gli obblighi previsti dalla Convenzione di Lanzarote, a protezione dei minori, disciplinando una fattispecie che anticipava eccessivamente la tutela del bene giuridico potenzialmente posto in pericolo dalle condotte incriminate.

La disposizione infatti potrebbe finire per punire atti meramente prodromici, colorati solo dal dolo specifico della finalità degli atti sessuali con minori.

Ciò peraltro impedirebbe di poter delimitare lo spazio di applicazione del tentativo dei delitti – scopo previsti dal medesimo capo che venissero di volta in volta in rilievo.

In pratica, la disposizione violerebbe non solo il principio di offensività, ma anche quello di determinatezza poiché finirebbe per richiedere l'accertamento per la punibilità su una componente interna imperscrutabile, sciolta da elementi oggettivi materiali tipici della fattispecie penale.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32170/2018 rigettando il motivo di ricorso proposto, ha definito il significato e il contenuto della fattispecie esaminandone la sfera di derivazione sovranazionale e le modalità di recepimento. 


Il reato di adescamento di minorenne è un reato previsto dalla Convenzione di Lanzarote, siglata nell'ambito del Consiglio di Europa e recepita a livello interno con la l. n. 172/2012.

La disposizione pattizia mirava a armonizzare la legislazione degli stati membri al fine di ottenere una tutela effettiva dello sviluppo psicofisico e della libera determinazione dei minori.

In tale ambito deve essere collocato il reato di adescamento di minori, art. 609 undeciesc.p., che sanziona le condotte di child rooming, realizzate attraverso tecniche di manipolazione psicologica idonee ad indebolire la volontà della vittima e a creare un rapporto con l'adescatore per fini di adescamento e di abuso, il tutto grazie anche alle nuove tecnologie che agevolano le comunicazioni a distanza.

La Convenzione non preveda la criminalizzazione di quelle ipotesi in cui l'adescamento si fosse limitato alla mera presa di contatto tra minore e adulto, ma richiedeva che venissero posti in essere atti idonei alla organizzazione dell'incontro finalizzato all'abuso.

In pratica, nell'ambito della Convenzione sarebbero dovuti essere sanzionati solo quegli atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato.

Il legislatore nazionale avrebbe quindi potuto esimersi dall'inserire una nuova disposizione ad hoc poiché le istanze di tutela emerse in sede convenzionale avrebbero potuto essere soddisfatte con l'applicazione alle fattispecie già esistenti della clausola estensiva della incriminazione dell'art. 56 c.p.

L'art. 609 undecies ​c.p., invece, prevede che "Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione."

La scelta del legislatore, quindi, è stata nel senso di sanzionare anche condotte prodromiche rispetto al tentativo, facoltà legittima nei rapporti di diritto internazionale tra diritto convenzionale e diritto interno in quanto i singoli stati aderenti alla convenzione, una volta assicurato il nucleo essenziale e minimo di tutela, possono comunque prevedere sanzioni più severe e afflittive o garantire un livello di tutela maggiore ai beni giuridici presi in considerazione della normativa convenzionale. 

Peraltro, osserva la Corte, sotto un profilo medico - psicologico, la normativa italiana appare pienamente legittima in quanto reprime ogni fase di manipolazione del minore posta in essere dagli adescatori.

Vengono incriminate, infatti, tutte quelle fasi antecedenti al reato - scopo in cui l'adescatore, spinto dal movente sessuale, seleziona la vittima, prende contatto con essa, instaura un rapporto intimo e confidenziale, ne carpisce la fiducia e, introdotta la tematica sessuale, rivolge i primi inviti.

Viceversa, invece, il momento in cui l'agente esercita pressioni e organizza fattivamente l'incontro ricentra nel tentativo punibile di atti sessuali, poiché è tale condotta è più vicina, anche cronologicamente, al reato che l'adescatore intende consumare.

D'altronde, l'esclusione della sovrapposizione delle due fattispecie, è dovuta alla presenza della clausola di salvaguardia contenuta all'art. 609 undecies c.p., con ciò indicando che le condotte che integrano il tentativo dei reati fine assorbono il disvalore di tale disposizione.

Infine, circa l'offensività, la Corte definisce la fattispecie come di pericolo concreto da valutarsi ex antecon riguardo alla idoneità di commettere reati sessuali più gravi nei confronti di minorenni.

Sotto tale profilo quindi la disposizione, risulta compatibile con il principio di offensività che si concreta in una lesione potenziale del bene giuridico protetto.

Non contrasta con questa ricostruzione, il richiesto accertamento del dolo specifico, da considerarsi elemento costitutivo della fattispecie descritta.

Sebbene infatti si tratta di un elemento soggettivo, il movente sessuale non va ricondotto ad una indagine interna dell'animusdell'agente, richiedendo per il suo accertamento l'analisi di indici oggettivi c.d. "indicatori del dolo".

Si tratta di elementi materiali che si qualificano come espressioni degli atteggiamenti psichici del soggetto agente in relazione alla sua situazione, alla condotta e al complesso delle circostanze in cui avvengono i fatti, come le frasi scambiate, i riferimenti impliciti o espliciti alla sfera sessuale etc.

Ciò è in funzione della ricostruzione del dolo specifico nell'ambito concreto delle condotte poste in essere da cui possa desumersi il movente sessuale nel rispetto della sua funzione sotto il profilo della determinatezza e – si aggiunge – della offensività sub speciedi pericolo concreto.

In conclusione la Corte ha ritenuto che la disposizione fosse pienamente compatibile con i parametri costituzionali ricordati in quanto ben determinata anche nella sfera di offensività del bene giuridico tutelato, e, per questo, ha rigettato il motivo di ricorso promosso.