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 Con sentenza n. 2065 del 13 settembre 2018, il TAR Lombardia ha stabilito, con riferimento all'installazione di un ascensore esterno in un condominio e ai fini della S.C.I.A., che la pubblica amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l'acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza in capo ai richiedenti dei requisiti soggettivi in merito:

  • al titolo di godimento del bene interessato dall'intervento oggetto dell'istanza; intervento, questo, per cui si chiede il titolo abilitante (quale appunto la S.C.I.A.);
  • alla normativa diretta al superamento delle barriere architettoniche.

E ciò al fine di assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio, senza che l'esame operato dalla pubblica amministrazione costituisca un'illegittima intrusione in ambito privatistico.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta al TAR Lombardia. I ricorrenti sono proprietari di un appartamento sito al piano terra in un condominio. È accaduto che le proprietarie dell'immobile sito al primo piano e al sottotetto del medesimo condominio hanno fatto realizzare sulla facciata comune dell'edificio un ascensore esterno ad uso esclusivo del proprio appartamento. A parere dei ricorrenti, tale costruzione:

  • ha provocato l'accecamento di una finestra al servizio di un atrio comune;
  • ha provocato la sensibile diminuizione dell'aerazione e dell'illuminazione della scala comune;
  • è privo dei presupposti, ossia del titolo edilizio e del consenso degli stessi ricorrenti, quali comproprietari dell'edificio cui afferisce l'ascensore in questione.

Per tali motivi, i ricorrenti hanno chiesto al Comune di riferimento che fossero effettuati gli opportuni accertamenti del caso e che tale ascensore fosse demolito. L'ente comunale ha emesso un provvedimento di diniego, avverso cui i ricorrenti hanno proposto opposizione.


Il caso è giunto dinanzi al TAR. Innanzitutto, i Giudici amministrativi partono dall'esame della questione relativa alla necessità o meno, per il tipo di intervento realizzato (installazione dell'ascensore), del permesso di costruire. Secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, tale intervento, essendo finalizzato alla realizzazione di un volume tecnico, necessario per apportare un'innovazione, non costituisce una costruzione in senso stretto e pertanto non necessita del permesso di costruire. Tuttavia, trattandosi di un'innovazione da apportare in un condominio, l'intervento edilizio in questione non può prescindere dall'acquisizione del consenso della maggioranza dei condomini dello stabile interessato, come previsto dalla normativa civilistica in materia di innovazioni condominiali (art. 1120 cod. civ.). Secondo, poi, l'art. 78 del D.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) tale tipo di innovazione diretta ad eliminare le barriere architettoniche deve essere approvata dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. Qualora il condominio si rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni relative a questo tipo di innovazioni, ove nel condominio sono presenti condomini disabili, questi o chi ne esercita la tutela o la potestà possono:

  • installare, a proprie spese, servoscala, nonché strutture mobili e facilmente rimovibili;
  • modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

 Orbene, fatta questa premessa normativa, tornando al caso di specie, non risulta che le comproprietarie del primo piano e del sottotetto abbiano acquisito il consenso dei ricorrenti, né risulta che le stesse siano proprietarie di metà dell'edificio, al contrario, dei ricorrenti e quindi siano titolari di una quota pari a quella richiesta per l'approvazione delle delibere sulle innovazioni. Inoltre, le stesse non hanno neanche dimostrato di possedere i requisiti soggettivi per l'applicazione della normativa diretta al superamento delle barriere architettoniche. Con l'ovvia conseguenza che il provvedimento di diniego della richiesta di demolizione dell'ascensore dovrà ritenersi illegittimo. E ciò in considerazione del fatto che, sebbene l'amministrazione non sia tenuta a svolgere indagini complesse, è, comunque, tenuta a svolgere un minimo di istruttoria per

  • verificare, in capo ai richiedenti il titolo abilitante (quale la D.I.A., oggi S.C.I.A.) dell'intervento in questione, la sussistenza dei requisiti relativamente al titolo di godimento dell'immobile;
  • verificare, in capo agli stessi, il requisito della legittimazione soggettiva a beneficiare della normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche.

Tale verifica è ancor più necessaria se il difetto dei requisiti sia segnalato all'ente comunale di riferimento da eventuali controinteressati alla vicenda, come è accaduto nel caso di specie. Infatti, i ricorrenti hanno provveduto a sollecitare il Comune affinché verificasse la sussistenza dei suddetti requisiti in capo alle comproprietarie degli immobili siti al primo piano e al sottotetto; sollecito rimasto senza seguito e che, invece, avrebbe dovuto mobilitare la pubblica amministrazione ad approfondire, vista la peculiarità della disciplina relativa all'eliminazione delle barriere architettoniche. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il TAR adito ha dichiarato il diniego comunale illegittimo.