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Con la sentenza in commento, la n. 25604 depositata lo scorso 9 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha precisato quando ricorrono i casi di incompatibilità e i motivi per la astensione e ricusazione del giudice nel procedimento penale.

Nel caso sottoposto al suo esame, i ricorrenti erano imputati del reato di calunnia per aver accusato, sapendolo innocente, del reato di abuso d'ufficio il custode giudiziario di un terreno. Il custode era stato assolto dal reato di abuso di ufficio.

Il giudice del quale chiedevano la ricusazione aveva emesso un decreto di archiviazione in un procedimento ampio, avente ad oggetto molteplici fatti, da cui successivamente sarebbero derivati i procedimenti relativi ai reati di abuso d'ufficio in questione e dunque non aveva preso direttamente decisioni in ordine al procedimento concernete il reato presupposto.

I ricorrenti ritenevano tuttavia come i fatti oggetto delle denunce da loro presentate nel corso del tempo fossero tutti interconnessi tra di loro e dunque anche solo una decisione su un particolare elemento inficiasse la vicenda processuale complessiva.

La Corte di Cassazione trae le mosse da questo ricorso per precisare, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale, quando ricorrono le ipotesi di incompatibilità, astensione e ricusazione. 

L'istituto dell'incompatibilità è funzionale ad evitare che "condizionamenti, anche solo apparentemente tali, possano pregiudicare o fare apparire pregiudicata l'attività di giudizio".

I due elementi per la verifica dell'esistenza di una situazione di incompatibilità sono rappresentanti da un lato dalla attività pregiudicante e dall'altro dalla sede pregiudicata.

L'attività pregiudicante può essere qualsiasi attività che implichi una valutazione di merito dell'accusa da parte del giudice. Occorre tuttavia che vi sia una valutazione di merito effettiva poiché non è sufficiente la mera conoscenza di atti.

La sede pregiudicata, invece, è quella giudiziale intesa come "ogni sequenza processuale che, in base ad un esame delle risultanze probatorie, pervenga ad una decisione di merito".

Qualora la valutazione di merito sia stata operata in diverso procedimento, l'effetto pregiudicante deve essere valutato in concreto e può trovare applicazione in tali casi solo l'istituto dell'astensione per gravi ragioni di convenienza a norma dell'art. 36 c.p.p., lett. h). 

Venendo all'ambito di applicazione della ricusazione, come ha precisato la Corte costituzionale i casi di astensione e quelli di ricusazione non sono esattamente sovrapponibili e ciò al fine di "sottrarre al potere di ricusazione delle parti, una situazione atipica, che potrebbe essere utilizzata in modo strumentale e dilatorio" (cfr. sentenze n. 306 - 307 - 308 del 1997, n. 113 - 283 del 2000).

L'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a) infatti prevede la ricusazione solo per il caso previsto dall'art. 36, comma 1, lett. g) - che richiama i casi di incompatibilità indicati all'art. 34 -, e non invece per la lett. h), e cioè qualora sussistano gravi ragioni di convenienza.

Seppure sul punto sia intervenuta la corte di legittimità dichiarando "l'illegittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto", le valutazioni di merito già espresse in altro procedimento devono essere oggetto di valutazione caso per caso al fine di verificare l'effettiva incidenza sulla imparzialità del giudice.

Ciò detto e vendendo alla soluzione del caso specifico, la Corte ha ritenuto di escludere l'esistenza di una causa di ricusazione, poiché la Corte di appello aveva chiarito come il giudice ricusato non avesse espresso alcun indebito convincimento sui fatti oggetto di impugnazione.