matrimonio

 L'articolo 143 del codice civile indica i diritti e i doveri dei coniugi.

Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.

E' evidente, quindi, che la fedeltà rappresenta uno dei doveri coniugali e non una libera scelta della persona, un obbligo reciproco che ha conseguenze non solo sul piano morale, ma anche giuridico.

Per tale ragione se l'intollerabilità causa della separazione è determinata dall'infedeltà di uno dei due coniugi, il partner fedele può richiedere l'addebito della separazione a carico del traditore.

L'addebito richiede quindi la sussistenza dei seguenti presupposti:

che la violazione di uno dei doveri coniugali previsti dall'art. 143 cc sia anteriore alla proposizione della domanda per la separazione coniugale;

che tra la violazione del dovere di fedeltà e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza sussista un rapporto di causalità. Si ritiene infatti che la violazione del dovere di fedeltà deve essere la causa della crisi del rapporto e non essere conseguenza di precedenti ragioni che avevano in passato già determinato la fine della comunione spirituale tra i coniugi. Nel caso di matrimonio in crisi, infatti, l'infedeltà successiva non necessariamente porterà all'addebito.

 

Esaustiva al riguardo è la spiegazione del concetto di fedeltà coniugale e della conseguente pronuncia di addebito, contenuta nella massima della Cassazione n. 15557/2008: "la pronuncia di addebito richiede di accertare se uno dei coniugi abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio fra i quali è indicato l'obbligo della fedeltà, strettamente connesso a quello della convivenza e da intendere non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniugo, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio. La nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda. Il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 c.c., dovendo, per converso, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza. A tale regola non si sottrae l'infedeltà di un coniuge, la quale pur rappresentando una violazione particolarmente grave, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, può essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione soltanto quando sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, e non anche, pertanto, qualora risulti non aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza medesima: come avviene allorquando il giudice accerti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, perciò autonoma ed indipendente dalla successiva violazione del dovere di fedeltà".

 A questo punto ci si chiede quali siano le conseguenze dell'infedeltà rispetto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento.

La Cassazione con sentenza n. 11488/ 2001, ha stabilito al riguardo che, una relazione stabile con un nuovo partner non comporta la perdita automatica del diritto all'assegno. Occorre infatti valutare se la nuova relazione abbia inciso favorevolmente o meno sulla reale e concreta situazione economica del coniuge beneficiario.

Lo stesso concetto è stato ribadito dalla Cassazione n. 18862/2022: "La prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte del convivente more uxorio di uno dei coniugi può assumere rilievo soltanto ai fini della valutazione delle condizioni economiche del beneficiario, che costituiscono uno dei parametri di riferimento per il riconoscimento e la liquidazione dell'assegno di mantenimento in suo favore.

Occorre quindi escludere automatismi tra l'instaurarsi di una nuova relazione e la perdita del diritto all'assegno di mantenimento; il giudice accerterà l'esistenza della stabilità e continuatività del nuovo legame che può esistere anche in assenza di coabitazione, se, ad esso si accompagni l'elaborazione di un diverso progetto di vita, caratterizzato dalla condivisione di nuovi bisogni, interessi, abitudini, attività e relazioni sociali, tali da comportare il superamento del modello familiare cui era improntata la pregressa esperienza coniugale, e con esso del tenore di vita precedentemente goduto.

Nella sentenza della Cassazione n. 22704/2021, invece, la moglie fedele, nonostante l'addebito al marito, si è vista negare il mantenimento richiesto perché, come hanno precisato gli Ermellini: "Nel giudizio di separazione le condizioni alle quali è sottoposto il diritto al mantenimento ed il suo concreto ammontare consistono soltanto nella non addebitabilità della separazione al coniuge nel cui favore viene disposto il mantenimento, nella mancanza di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una disparità economica fra i due coniugi, a prescindere dal fatto che la separazione sia stata pronunciata con o senza addebito alla controparte. Nel caso in esame, entrambi avevano adeguati redditi e così nulla è stato addebitato alla moglie, nonostante l'addebito.