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C'è un limite oltre il quale la propaganda politica non può spingersi senza porre in pericolo i delicati equilibri su cui si regge ogni democrazia. Quel limite è stato superato l'1 agosto con la nota ufficiale di Palazzo Chigi che, commentando la sentenza della Corte di Giustizia dell'UE sui "Paesi sicuri" nella gestione dei rimpatri dei migranti, non si è limitata a esprimere una legittima critica politica, ritenendo opportuno attaccare direttamente la Corte sindacando il corretto esercizio della funzione giurisdizionale, finendo per sconfessare coram populum, davanti al Paese, la stessa "professione di fede" nei principi della separazione dei poteri e dell'autonomia della magistratura che il Ministro Nordio continua ostinatamente a sbandierare, benché siano davvero pochi a credergli, a sostegno della sua contestatissima riforma costituzionale sulla separazione delle carriere.

La decisione della Corte di Giustizia – che ha riaffermato un principio di civiltà giuridica, ossia che la qualifica di "Paese sicuro" non può valere in modo automatico ma deve sempre essere soggetta a un controllo giurisdizionale effettivo – è una decisione legittima, fondata sul diritto dell'Unione e coerente con le garanzie fondamentali della persona, sancite anche dalla nostra Costituzione. La reazione del Governo italiano, invece, mostra quanto sia diventata fastidiosa l'idea di un controllo giurisdizionale sul proprio operato. Parlare, come fa Palazzo Chigi, di una Corte che rivendica spazi che non le competono, significa non comprendere – o voler deliberatamente negare – la funzione di garanzia affidata alla giurisdizione, anche quella europea, a tutela dei diritti fondamentali. È un lessico pericoloso, che riecheggia tentazioni autoritarie e semplificazioni propagandistiche di altre epoche.

Ancora più grave è la contraddizione clamorosa con le affermazioni del ministro Nordio, che da mesi dichiara che la sua riforma costituzionale sulla separazione delle carriere non intacca la funzione giurisdizionale e l'indipendenza dei magistrati. Eppure oggi lo stesso Governo di cui egli è parte attacca con veemenza la magistratura, semplicemente per aver esercitato la sua funzione: garantire che nessuna autorità politica – nazionale o europea – possa sottrarsi alla legge. Insensatamente, perchè, al di là della stretta argomentazione di principio, l'idea che un giudice nazionale possa, alla luce di fonti anche non ufficiali, valutare se un migrante rischi davvero trattamenti inumani o persecuzioni nel proprio Paese, non è certo un'invasione di campo. È realtà discendente dallo Stato di diritto, chiamato a garantire il rispetto del principio di uguaglianza e di non discriminazione. In fin dei conti, è ciò che distingue la democrazia dall'autoritarismo.

E allora, l'indignazione mostrata dal Governo non è solo sproporzionata, ma è incostituzionale nel senso più profondo del termine: mina i principi fondativi della Carta, svilisce la giurisdizione, non riconosce il ruolo di garanzia di legalità che spetta, senza interferenze di alcuno, tanto più dell'esecutivo, alle Corti. È anche un messaggio pericoloso per i cittadini: che il rispetto delle regole vale solo se compatibile con gli obiettivi del Governo di turno.

La Corte di Giustizia ha fatto il proprio dovere: impedire che un atto politico – per quanto formalmente legittimo – sottragga individui vulnerabili al vaglio di legalità e di umanità. Ha ricordato che non può ammettersi che lo Stato di diritto venga sospeso per ragioni d'opportunità o di convenienza politica. Chiediamo allora ai cittadini che credono ancora nella Costituzione, di non assuefarsi a questi attacchi contro l'equilibrio dei poteri, e di ricordare che la giurisdizione non è un nemico, ma un baluardo. E che ogni volta che un Governo accusa un giudice di "invasione di campo", in realtà sta confessando la propria insofferenza al controllo, e che quando chi sta al potere manifesta fastidio verso chi può controllarne l'operato, e se del caso limitarne  gli abusi, il pericolo non riguarda i migranti, ma tutti noi. Perché quando non ci sarà più una giurisdizione autonoma, nè un corretto equilibrio tra i poteri, la Repubblica avrà perso se stessa, e avremo fatto ingresso in un regime non più democratico.