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Un recente post del Presidente Giuseppe Conte ha rilanciato un nodo che, al di là della dialettica e della polemica politica, merita una riflessione tecnica seria: il regime di procedibilità introdotto dalla riforma Cartabia per i furti aggravati – tra cui rientrano borseggi e scippi – ha determinato una significativa riduzione dell'effettività della risposta penale, specie nei contesti urbani più esposti alla microcriminalità.

Con il decreto legislativo n. 150/2022, attuativo della legge delega n. 134/2021, si è modificato l'art. 649-bis del codice penale e si è ampliata la categoria dei reati procedibili solo a querela di parte, invece che d'ufficio come nel regime ordinamentale precedente. Tra questi, anche il furto con destrezza o aggravato da circostanze di luogo o persona, se non accompagnato da altre condizioni più gravi. L'intento dichiarato della riforma era quello di deflazionare il carico processuale e razionalizzare l'intervento penale, riservandolo ai casi in cui vi fosse un interesse concreto della vittima all'azione penale. Tuttavia, questa impostazione si è scontrata con la realtà, perchè se la vittima non sporge querela – perché ignara, impossibilitata o poco incline a formalità burocratiche, come spesso accade a turisti o soggetti fragili – l'autore del reato resta di fatto impunito, anche se colto in flagranza. Non era difficile prevederlo, e difatti tanta parte della dottrina aveva segnalato il pericolo del determinarsi di una falla del sistema, tanto più evidente considerati i reati contro la persona e il patrimonio coinvolti nella riforma, rientranti nei Libri II e III del codice penale, costituenti fattispecie non solo statisticamente diffuse ma di straordinario allarme sociale. Inutilmente, però, perchè, come rilevato da più parti, la ratio della riforma, più che ispirata ai dichiarati propositi di deflazione e semplificazione, sembrava doversi più pragmaticamente ricondurre ad una rinuncia dello Stato ad una pretesa punitiva diretta, dettata dall'insufficienza di strumenti e risorse. In altre parole, ad una resa sostanziale ad uno stato di necessità, o se si preferisce ad una ragion di Stato.

Inutile girarci attorno. Si è creata in questo modo una frattura tra la percezione sociale della sicurezza e l'effettività dell'ordinamento penale, che in questi casi appare debole, inefficace e dissuasivo solo sulla carta. Si è determinato un vuoto operativo che concorre a disarmare gli operatori di polizia giudiziaria e a vanificare il principio di tutela effettiva dei diritti della persona. In assenza di querela, anche un furto aggravato – se non particolarmente violento – non può più essere perseguito, neppure se documentato da videosorveglianza o accertato direttamente da agenti in servizio. Si aggiunga che la riforma ha altresì avuto un impatto negativo sull'efficacia delle misure cautelari. Con il paradosso, ben evidenziato, che soggetti noti per reiterati borseggi, anche seriali, restano in libertà.

I correttivi proposti in Parlamento – in particolare le proposte di legge presentate a firma di Federico Cafiero De Raho e Marianna Ricciardi – vanno nella direzione giusta: reintrodurre la procedibilità d'ufficio almeno per i furti aggravati, specie per quelli commessi con violenza sulle cose o destrezza, in danno di soggetti vulnerabili o in luoghi pubblici particolarmente frequentati,  come le località turistiche, nelle quali il fenomeno si manifesta in tutta la sua portata, e l'impunità – reale o percepita – rischia di erodere la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto. In questa prospettiva, appare urgente e improcrastinabile valutare soluzioni come la reintroduzione della procedibilità d'ufficio almeno per i furti con destrezza, in danno di minori, disabili, anziani, turisti o in luoghi pubblici;  la facoltà per la polizia giudiziaria di procedere anche in assenza di querela, ove sussistano gravi indizi e sia documentata la condotta, riservando alla vittima la possibilità di opporsi; la semplificazione e digitalizzazione delle procedure per la querela immediata, specie nei contesti turistici, anche tramite la messa in opera di app dedicate assistite da sistemi di pec e firma digitale.

Il legislatore ha il dovere di assicurare che la norma scritta sia anche norma applicabile, ed efficace. In questo senso, il monito lanciato da Conte andrebbe ascoltato in chiave tecnica e privo di pregiudizio politico, in quanto la sicurezza non può essere oggetto di inerzia legislativa.