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La polemica tra il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto e il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, intervenuta nel corso di un convegno torinese organizzato da Forza Italia sulla riforma della giustizia, merita alcune riflessioni, perchè non si può far finta di nulla. Il cuore dello scontro, la decisione di Gratteri di acconsentire a condurre una trasmissione televisiva su La7 intitolata Lezioni di mafie. Una scelta che, per il viceministro, solleverebbe questioni di opportunità in relazione al ruolo ricoperto dal magistrato.

Ma è davvero l'"opportunità" ciò che preoccupa il viceministro? O piuttosto l'autonomia di un magistrato che informa l'opinione pubblica su fenomeni criminali che persistono, si evolvono e si insinuano silenziosamente nei circuiti dell'economia e della politica? Che Gratteri sia un pubblico ministero in servizio attivo è un dato. Che egli sia uno dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità organizzata, lo è altrettanto. Ma è proprio la sua esperienza e la sua dedizione alla legalità che ne fanno una figura centrale. Ed aggiungerei, nella repressione, ma anche nella prevenzione culturale del fenomeno mafioso. Ed allora? Gratteri ha leso l'imparzialità o l'immagine della magistratura, oppure deve piuttosto parlarsi del tentativo di mettere a tacere voci scomode in un momento in cui si tenta di riplasmare l'assetto costituzionale della giurisdizione?

Gratteri ha replicato con ironia e fermezza, rivendicando il diritto a parlare, ad informare, a partecipare al dibattito pubblico, e sollecitando coerenza istituzionale: «Dato che il governo ha cambiato centinaia di articoli, crei pure un divieto assoluto per i magistrati in tv». E ancora: «Il Ministero ha un ufficio ispettivo: lo utilizzi». Una risposta che restituisce l'idea di un magistrato consapevole dei propri doveri, ma anche dei propri diritti, in una democrazia che non può permettersi un esponente di governo che chieda il silenzio a un qualsiasi altro cittadino, perchè la libertà di parola è un diritto, e Sisto dovrebbe ricordarlo.

L'attacco, peraltro, giunge da un esponente di governo che è anche tra i principali promotori della riforma della giustizia fondata sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, misura che – come molti sanno – incide profondamente sul principio di indipendenza e rischia di subordinare la funzione requirente al potere esecutivo. In questo contesto, la polemica contro Gratteri assume contorni ancor più problematici: si tenta di screditare chi si è espresso criticamente rispetto a una riforma che – piaccia o meno – non piace agli studiosi, e alla magistratura, contenendo anche regole - come il sorteggio - che non esistono nel pianeta, e forse nemmeno su Marte.

Vi è, infine, un nodo che merita menzione: la libertà di manifestazione del pensiero dei magistrati. La Costituzione, che riconosce a tutti il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, non può essere compressa oltre misura nemmeno per chi svolge funzioni pubbliche. Certamente, il magistrato è tenuto a un dovere di riserbo e imparzialità, ma non può essergli preclusa la possibilità di contribuire al dibattito pubblico su temi cruciali come la criminalità organizzata e la giustizia, come peraltro chiarito da tempo dalla giurisprudenza disciplinare. In ogni caso, la voce di chi ha combattuto e combatte la mafia in prima linea non solo non va silenziata, ma andrebbe ascoltata con rispetto. Non è Gratteri a mettere in pericolo la credibilità della giurisdizione. È semmai la sua delegittimazione pubblica, specie se proveniente da membri del Governo, a farlo. Ed è semmai Sisto ad aver posto in pericolo la credibilità della politica.