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Una storia di violenza. Una storia di quelle, purtroppo, divenute ordinarie. Donne come prede. Negli angoli bui delle strade come in pieno giorno in stazioni ferroviarie o metro. Nelle campagne, nelle quali padroni e caporali non si accontentano di sfruttare economicamente giovani donne spesso straniere, agli uffici e studi patinati di città piccole e grandi. Ma adesso, la violenza si consuma anche nei luoghi all'interno dei quali dovrebbe respirarsi il primato della legge. Come i tribunali. Può accadere dappertutto, si dirà, e questa è certamente una verità. Come è una verità, di quelle che fanno veramente male, che una donna - nella specie un avvocato, ma sarebbe potuto capitare a chiunque - sia fatta "oggetto" - intenzionalmente uso questo termine - di atti di violenza sessuale, cerchi di liberarsi, scoppi in un pianto dirotto, e decine, centinaia di avvocati, magistrati, assistenti giudiziari assistano alla scena, non facciano una piega, e tra l'indifferenza e un commento che improprio sarebbe un puro eufemismo continuino a fare le proprie cose, senza curarsi minimamente della collega, senza prestarle soccorso. Rivolgendosi, anzi, a chi sta cercando di aiutarla con una delle espressioni più sintomatiche della viltà e dell'indecenza umana: "Chi te lo fa fare?"

È un ciclone quello che, il 5 giugno, hai investito il foro di Napoli. Un avvocato è stata importunata in Tribunale, e tanti, troppi colleghi sembra abbiano fatto finta di nulla, alcuni di essi, magari - e non arriviamo a pensar questo - godendosi anche la scena. Ne abbiamo lungamente riferito, come anche del dolore della giovane collega per l'isolamento che le è derivato da una vicenda che presenta troppi punti oscuri perché l'ordine non ritenga di aprire una seria indagine sui fatti. Perché, se le cose stessero come ha dichiarato ieri in una intervista a La Stampa l'avvocato Gennaro Ausiello, 43 anni dei quali venti con la toga indosso, l'unico che è intervenuto, saremmo veramente messi male. Gli avvocati che si girano dall'altra parte sono la negazione dei principi sui quali si fonda la professione forense. Un avvocato che assiste ad un atto di violenza non può estraniarsi, tirarsi fuori. Ha l'obbligo di intervenire, di fare qualcosa. È un dovere di soccorso iscritto nel Dna di chi indossa una toga senza bisogno di scomodare Calamandrei. E se questo non accade, nessuno, tantomeno il consiglio dell'ordine, può far finta di nulla. Ha l'obbligo di accertare i fatti, capire chi era presente e non è intervenuto, interrogarlo. Perché non si può consentire che accadano cose del genere e che le istituzioni forensi rimangano inerti. Si tratta di fatti gravi, di palesi violazioni al codice deontologico,  e senza bisogno di dover ribadire ancora una volta che la vittima era un altro avvocato. Quindi, le dichiarazioni del collega sono un'opportunità. Un'opportunità per il Consiglio dell'Ordine degli avvocati del foro partenopeo - tra i più attenti  in Italia  a queste problematiche - di promuovere una seria indagine su quanto accaduto. Ce lo aspettiamo, a tutela degli avvocati di Napoli, della stragrande parte di essi per i quali la solidarietà non è stata mai disgiunta dall'esercizio della professione.


«Erano intorno a mezzogiorno, ci trovavamo nella 'Piazza coperta', una zona centrale del Tribunale, l'atrio principale. Avevo finito da poco un'udienza. La mia attenzione è stata attratta da alcune grida. Ho visto una ragazza, una collega giovane, che urlava e afferrava per il braccio un ragazzo vestito con un completo scuro. All'inizio ho pensato a uno scherzo poi una mia collaboratrice di studio che aveva visto qualcosa in più mi ha spiegato che stava accadendo qualcosa di serio. Le ho lasciato la borsa, le ho chiesto di non avvicinarsi e sono andato». Così ha detto Gennaro a La Stampa. Poi ha continuato: «Ho percorso i 20 metri circa che mi separavano dalla ragazza, ho afferrato per un braccio l'uomo per bloccarlo. La collega mi ha raccontato di essere stata vittima di un'aggressione sessuale. L'uomo aveva iniziato a masturbarsi guardandola e poi si era avvicinato e l'aveva toccata. La donna piangeva, tremava, era sconvolta. Le ho detto di allontanarsi dall'uomo e di non preoccuparsi, avrei pensato io a tutto».

Ma in molti, presenti, hanno fatto finta di non vedere, ed hanno fatto anche cose peggiori: «C'erano tante persone intorno ma nessuno si fermava. Per fortuna l'uomo era tranquillo. Se avesse reagito sarei stato costretto a una colluttazione, non so come sarebbe andata a finire. L'unica ad avvicinarsi è stata la mia collaboratrice, ha iniziato a parlare con la collega vittima dell'aggressione mentre io provavo a parlare con il maniaco per mantenerlo calmo. Dopo un po' di tempo è arrivato un carabiniere, saranno stati quasi dieci minuti, mi sono sembrati interminabili. Gli ho consegnato l'uomo e sono andato via. Ovviamente mi sono messo a disposizione per eventuali testimonianze». 

«Ci trovavamo nel punto dove in genere noi avvocati ci intratteniamo. C'è il bar, la camera penale, è un luogo di transito per tutti quelli che frequentano il tribunale ed era l'ora di punta: ci saranno state centinaia di persone. Pensavo e speravo che sarebbe arrivato qualcuno a dare una mano. Sono passati anche alcuni colleghi che conosco. Dopo essersi informati, mi hanno detto: 'Fatti i fatti tuoi, che ti importa?'

«Ero sconvolto. Mi ha fatto grande impressione lo stato psicologico della ragazza. Come avvocato penalista ho trattati tanti casi di violenza ma per la prima volta ho assistito quasi in diretta al dramma di una donna molestata sessualmente. Trovo incredibile che si possa vedere una donna in quello stato e non fermarsi per tranquillizzarla, per portarla un attimo al bar, per darle un senso di presenza».

Fin qui le dichiarazioni rese dal collega. L'uomo responsabile della violenza è ai domiciliari, la donna ha denunciato e ci sarà un processo. I giovani penalisti hanno chiesto al Consiglio dell'Ordine di Napoli di intervenire, ed anche noi siamo in attesa di conoscere gli eventi.