Imagoeconomica_1459228

La Corte d'Appello di Potenza, con sentenza del 23 dicembre 2020 ha ribadito che, in tema di risarcimento del danno per le espressioni offensive contenute negli atti del processo, il Giudice competente a decidere è lo stesso del processo in cui sono stati depositati gli atti contenenti dette espressioni. Tuttavia è possibile adire altro Giudice quando:

  • il procedimento, per qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza (come nel caso di estinzione del processo) (Cass., nn. 10916/2001; 11617/1992; 16121/2009, richiamate da Corte d'Appello di Potenza, sentenza 23 dicembre 2020);
  • i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado) (Cass., nn. 10916/2001; 11617/1992; 16121/2009, richiamate da Corte d'Appello di Potenza, sentenza 23 dicembre 2020):
  • la domanda sia avanzata nei confronti non della parte ma del suo difensore (Cass., nn. 10916/2001; 11617/1992; 16121/2009, richiamate da Corte d'Appello di Potenza, sentenza 23 dicembre 2020).

Ma vediamo perché. 

 Le espressioni offensive: limiti

L'esigenza di difesa del proprio assistito non deve portare l'avvocato a porre in essere una condotta non ispirata alla lealtà, alla probità e al rispetto reciproco e ciò nell'interesse superiore della giustizia e di quello dei contendenti. Ne consegue che se, da un lato, nel nostro ordinamento vige la massima libertà nell'esercizio del diritto di difesa, dall'altro, l'avvocato deve utilizzare negli atti difensivi un linguaggio consono alle esigenze della dialettica processuale, evitando l'uso di espressioni offensive che non riguardino in modo diretto e immediato l'oggetto e le parti della controversia e che non abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni svolte a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta (Cass. civ. nn. 10423/2005, n. 18207/2007, 27001/2011; 5991/1979, 15503/2002, richiamate da Cass. civ., n. 13797/2018). Quando questi limiti sono superati, l'art. 89 c.p.c. conferisce al Giudice il potere di disporre, anche d'ufficio, la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed ingiuriose, nonché, con la sentenza che decide la causa, di assegnare, alla persona offesa dalle frasi lesive, una somma a titolo di risarcimento del danno (Corte d'Appello di Potenza, sentenza 23 dicembre 2020). In tali casi la competenza spetta allo stesso Giudice adito per il giudizio in cui sono state adottate tali espressioni.

Espressioni offensive esorbitanti e difensore legittimato passivo

Qual è la natura della responsabilità processuale che emerge dall'uso di espressioni offensive che non si trovino in rapporto con l'oggetto della causa e che siano estranee o esorbitanti?  

Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, si tratta di una responsabilità processuale che ha natura analoga a quella aquiliana, con l'ovvia conseguenza che l'antigiuridicità dei comportamenti non si esaurisce nell'ambito del processo in cui detti comportamenti sono stati adottati. Per tale motivo, in alcuni casi, la domanda di risarcimento danno potrà essere proposta in un altro giudizio. Uno degli ambiti in cui è possibile adire un Giudice diverso, secondo le ordinarie regole di competenza, è quello in cui la domanda è avanzata nei confronti non della parte ma del suo difensore. In questa ipotesi, il difensore è legittimato passivo, a titolo personale e la domanda di risarcimento danni va proposta in un giudizio separato da quello in cui il comportamento antigiuridico è stato posto in essere. E ciò in considerazione del fatto che l'avvocato, nel giudizio in cui ha usato le espressioni offensive esorbitanti, non è parte in causa e quindi non può essere destinatario degli effetti della sentenza. Ove si ammettesse la formulazione dell'azione di risarcimento danno nei confronti del difensore nell'ambito dello stesso giudizio in cui sono stati posti in essere i suddetti comportamenti antigiuridici, verrebbe emessa una sentenza che conterrebbe una statuizione (ossia l'assegnazione di una somma, a titolo di risarcimento danno ex art. 89 c.p.c.,) a carico di un soggetto che non è parte in causa. Per tal verso, quando è prospettata una specifica responsabilità del difensore o quando non è più possibile agire, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo, l'avvocato potrà essere convenuto, per l'azione per danni derivanti dall'utilizzo di espressioni offensive negli atti di un processo, dinanzi a un Giudice diverso (Corte d'Appello di Potenza, sentenza 23 dicembre 2020)