stein

Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei principi della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia. È una brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo dopo aver letto l'autobiografia di Teresa d'Avila, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all' Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933 entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome religioso di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l' 11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, compatrona dell' Europa.

 

 

La ricerca appassionata della verità caratterizza l'itinerario intellettuale, spirituale e religioso di Edith Stein. Nella sua vicenda personale la ricerca della verità, proprio come in Sant'Agostino, coincide con la ricerca di Dio. L'uomo, infatti, è strutturalmente orientato alla Verità che lo trascende, è colui che trova sé stesso e la piena verità del proprio essere in Dio. Se l'uomo guarda se stesso, se l'uomo guarda la sua interiorità, scopre Dio. Ciò vale per Edith Stein. «Proprio l'analisi fenomenologica – osserva Cornelio Fabro – suscita nel suo spirito il bisogno dell'Assoluto vivo e vero». L'incontro con il filosofo Max Scheler, la cui fenomenologia si sviluppa in una contemplazione disinteressata delle dimensioni essenziali e oggettive dell'essere, consente alla Stein di entrare in contatto con la visione religiosa cattolica e di maturare progressivamente, anche dopo la lettura della Vita di santa Teresa d'Avila, la scelta della conversione. La storia della conversione di Edith Stein resta uno dei capitoli più affascinanti della sua vita. A partire da un episodio meno conosciuto di altri. Lo racconta lei nella sua autobiografia: un giorno stava visitando il duomo di Francoforte, un po' come turista, con altre persone, e vide a un certo punto un signora entrare in chiesa con le borse della spesa, inginocchiarsi e pregare. La colpì quel mettersi a tu per tu con Dio. Era un atteggiamento che non aveva visto in sinagoga o nelle chiese evangeliche, dove si va per le liturgie, per la preghiera organizzata. Sulla famosa notte in cui Edith Stein avrebbe invece letto tutto d'un fiato la vita di santa Teresa D'Avila, trovata per caso, decidendo alla fine della lettura di convertirsi, occorre precisare che questo fu scritto dalla sua prima biografa, suor Renata dello Spirito Santo, che fu la sua prima priora a Colonia e che usò un linguaggio un po' enfatico, aggiungendo alcuni aneddoti per sottolineare alcuni aspetti biografici, ma che non erano storicamente precisi. Oggi sappiamo dai documenti che Edith Stein quel libro lo aveva ricevuto alcuni mesi prima, che frequentava già gli scritti di Teresa d'Avila. Si tende piuttosto a pensare che in quella famosa notte, dopo aver già maturato la conversione al cristianesimo, decise che la sua casa era la Chiesa cattolica. Nasce così in lei il progetto di inserire la dottrina dell'intenzionalità, propria della scuola fenomenologica, nella rielaborazione della filosofia scolastica. In questo contesto ella matura una propria originale considerazione della problematica antropologica, strettamente collegata alla riflessione sulla metafisica e sulla filosofia cristiana, che viene progressivamente a delinearsi soprattutto negli anni successivi alla conversione. Nel saggio "La Fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso d'Aquino. Tentativo di confronto" l'Autrice indaga le possibilità di avvicinamento tra la speculazione contemporanea e quella medievale, senza però abbandonare la sua formazione fenomenologica, ma, anzi, ribadendo che la fenomenologia tra le filosofie del Novecento è l'unica che, in qualche misura, consente di mettere in contatto la filosofia cristiana con la filosofia laica. In altre parole, se la conversione religiosa induce la studiosa a prendere posizione sulla questione della filosofia cristiana ed a ripercorrere sistematicamente l'itinerario della speculazione medievale, essa, tuttavia, in questo nuovo cammino, non abbandona la sua formazione fenomenologica che cerca invece di approfondire. Del resto, si noti che la stessa Stein vive il suo distacco da Husserl come un completamento della prospettiva fenomenologica più che come un allontanamento dalla stessa. Il metodo elaborato da Husserl che mira a cogliere l'oggettiva essenzialità dei fenomeni, proteso alla ricerca di una conoscenza oggettiva, di una verità assoluta, si oppone a ogni forma di relativismo e di scetticismo e permette di stabilire un rapporto con la filosofia cristiana. Husserl riconosce infatti che: «Lo spirito trova la verità, non la produce. Ed essa è eterna. Se la natura umana, se l'organismo psichico, se lo spirito del tempo si trasforma, allora anche l'opinione degli uomini si trasforma, ma la verità non cambia».

La ricerca della Stein non intende precludersi nessuna via, nessuna fonte di conoscenza della verità. In questa prospettiva la problematica metafisica assume nel pensiero della Stein un rilievo sempre maggiore, provocando conseguenze di primaria importanza anche per quanto riguarda la visione antropologica. Il problema di Dio appare alla Stein come la questione decisiva su cui riflettere. Ella propone una metafisica costruita a partire da una filosofia che deve essere critica anche contro le sue stesse possibilità e da una fede positiva che poggia su una rivelazione. La metafisica può offrire una compiuta visione del mondo riuscendo ad operare una sintesi tra la filosofia intesa come scienza rigorosa, fondata su principi inconfutabili e apodittici, e la teologia, intesa come intelligenza della fede che si fonda sulla verità di Dio. La metafisica viene definita, quindi, come comprensione dell'intera realtà includente anche la verità rivelata. Se la fede rende accessibili verità che non sono raggiungibili per altra via, allora la filosofia non può rinunciare a queste verità senza rinunciare allo stesso tempo a se stessa. Se la fede è la più alta certezza che l'uomo può raggiungere e se la filosofia avanza la pretesa di dare la più alta certezza raggiungibile, allora deve fare propria la certezza della fede. L'apertura ragionevole all'autorivelarsi di Dio permette all'uomo di trovare risposta ai significati ultimi del proprio essere. Ciò consente all'uomo di raggiungere la Verità, quella verità esistenziale di cui, come sosteneva Pascal, l'uomo può vivere. Dunque l'incontro personale con il Dio cristiano ricomprende la ragione, che indaga il cosmo e l'uomo, all'interno dell'atto di fede. Grazie a questo connubio l'uomo può realmente conoscere il trascendente e il fine ultimo della sua vita.