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Riferimenti normativi: Artt. 1129-1130 c.c.

Focus: I rapporti tra i condòmini e l'amministratore di condomìnio non sono sempre ottimali. Frequenti, infatti, sono le lamentele rivoltegli e tra esse una delle cause maggiori scaturisce dalla mancata risposta alle richieste dei condòmini. Tale comportamento può provocare la revoca dell'amministratore?

Principi generali: Nella gestione dell'attività condominiale ci sono casi espressamente previsti dalla legge, ex art.1129 c.c., in cui l'amministratore è obbligato a rispondere alle richieste dei condòmini. In particolare ciò si verifica quando è stata richiesta la convocazione dell'assemblea per deliberare innovazioni, ai sensi dell'art. 1120, c. 2, c.c. (es. abbattimento di barriere architettoniche, installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ), o per deliberare sulla revoca dell'amministratore stesso, ai sensi dell'art. 1129, c.12, c.c. L'amministratore è tenuto a rispondere ai condòmini anche quando è richiesto l'accesso e la copia dei documenti giustificativi di cui all'art. 1130-bis c.c., la copia dei registri condominiali, e/o del regolamento e delle tabelle millesimali (artt. 1129, c. 2 , e 1130 n. 6 c.c.), e l'attestazione dello stato dei pagamenti e delle liti in corso (art. 1130 n. 8 c.c.). In questi casi l'inadempimento da parte dell'amministratore si configura come grave irregolarità nella gestione, tale da comportare la revoca del mandato mediante ricorso all'autorità giudiziaria anche da parte di un solo condòmino.

Oltre ai casi specificamente indicati dal codice civile, salvo il caso di questioni inerenti la conservazione delle parti comuni e la loro gestione, non vi è alcun obbligo in capo all'amministratore d'intervenire, come ad esempio nei rapporti di vicinato e in caso di inutili o infondate richieste che intralciano la sua attività. In altri termini, l'amministratore è tenuto a rispondere ai condòmini tutte le volte in cui ciò sia necessario ed inerente all'espletamento del suo incarico, come nel caso di segnalazioni danni e/o guasti di cose comuni, ecc. Laddove i contatti telefonici non siano sufficienti a comunicare con l'amministratore è opportuno per i condòmini inoltrare le richieste in forma scritta tramite pec, fax o raccomandata A/R. Ciò consente di dimostrare che l'amministratore ha ricevuto le loro richieste senza darvi seguito, e, di conseguenza, inoltrare all'autorità giudiziaria richiesta di revoca dello stesso, previa formale diffida.

Bisogna, quindi, distinguere se la risposta dell'amministratore rientri nei suoi adempimenti o in un puro atto di cortesia, in quanto la revoca per motivi pretestuosi non è giustificata. E' quanto precisato dalla Corte di Cassazione, sez.6, con l'ordinanza n.27326/2019 del 24 Ottobre 2019.

Il caso: La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n.27326/2019, ha respinto il ricorso avanzato da una condòmina per ottenere la revoca dell'amministratore senza una valida ragione, condannandola al pagamento delle spese processuali e del doppio del contributo unificato. La controversia, nella caso di specie, è stata posta in essere da una condòmina per la declaratoria di revoca, da parte del Tribunale, dell'amministratore del proprio condomìnio, ex artt. 1129, n. 11, e 1131 c.c. 

Risarcimento dell'amministratore e colpa grave della condòmina: Il Tribunale ha rigettato il ricorso e la condòmina ha proposto reclamo dinanzi alla Corte d'AppelloQuest'ultima, confermando la sentenza di primo grado e ravvisando colpa grave nell'iniziativa della condòmina, l'ha condannata a rimborsare alla controparte le spese del procedimento di reclamo e a pagare la somma di 1.000 euro, per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96, 3° comma, c.p.c., il cui disposto consente al giudice di condannare al risarcimento del danno la parte soccombente che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o con colpa grave.Il decreto di condanna della ricorrente, emesso dal giudice d'appello, è stato impugnato dalla reclamante, dinanzi alla Suprema Corte, denunciando l'assenza di malafede richiesto ai fini della condanna ex art.96 c.p.c. e art.111 della Costituzione. La Corte di Cassazione, confermando il giudizio di merito, ha rigettato il ricorso della condòmina affermando che il riconoscimento dei requisiti di aver agito o resistito in giudizio con dolo, con colpa grave o senza la normale prudenza, sono fattori che possono essere valutati solo dal giudice di merito e come tali preclusi al giudice di legittimità. Ha, quindi, escluso che il giudice di appello abbia basato la sua decisione su un comportamento ipotetico e non attuale del condòmino.

A tal proposito, ha richiamato il principio sancito dalla Cassazione, SS.UU., con sentenza del 20 aprile n.9912/2018, secondo cui: " la responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96, c.3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente. Quest'ultima sussiste nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate".

In conclusione, " sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, sicché è meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiestaTale è il caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione".