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Riferimenti normativi: Art.1117 -1130 -2051 cod. civ.

Focus: Con le piogge abbondanti le precipitazioni che giungono sulla superficie terrestre possono infiltrarsi nel sottosuolo e ritornare in superficie, per la spinta della falda freatica, creando infiltrazioni di acqua che provoca umidità nei locali seminterrati dei condomìni quali garage e cantine. Spetta al condomìnio accertare le cause delle infiltrazioni o al condòmino proprietario esclusivo dei locali danneggiati?

Principi generali: L'umidità dei locali in condomìnio, causata da infiltrazioni di acqua derivanti dalle piogge, può derivare da una microfessurazione sull'attaccatura del muro perimetrale alla trave di fondazione. Il muro perimetrale e il suolo su cui poggia l'edificio sono beni condominiali per cui spetta all'amministratore scoprire la causa delle infiltrazioni e porvi rimedio. Ciò si rileva dall'art. 1117 c.c. il quale specifica che "sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo: il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune", e dall'art.1130 c.c. per il quale rientra nelle attribuzioni dell'amministratore compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. Il condomìnio, quindi, ha l'obbligo di predisporre mezzi idonei per impedire all'acqua di penetrare dal suolo e propagarsi nelle unità immobiliari, attraverso infiltrazione nella pavimentazione e nelle fondamenta, se il vizio o l'infiltrazione derivano da una parte comune dell'edificio come i muri perimetrali.

La Corte di Cassazione, in linea di principio, ha condiviso l'orientamento giurisprudenziale della stessa secondo il quale il condomìnio di un edificio è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde dei danni da queste cagionati alle porzioni di proprietà esclusiva dei condòmini (Cassazione n. 5326/05). Poiché, quindi, il condomìnio funge da custode delle parti comuni è tenuto ad intervenire ed è responsabile dei danni ai sensi dell'art.2051 c.c. Affinché si configuri la responsabilità condominiale è necessario, però, stabilire il nesso causale tra il fatto, cioè se l'umidità deriva da un'inadeguata coibentazione delle parti comuni di un edificio, quali i muri perimetrali, e l'evento dannoso cioè l'infiltrazione. Bisogna distinguere, in pratica, se i danni provocati a singoli condòmini, nel caso sia compromessa l'abitabilità o anche solo il godimento del bene, siano derivati o meno dai vizi di costruzione dello stabile. Se essi sono derivati da vizi di costruzione dello stabile ciò implica un grave difetto dell'edificio e, quindi, sussiste la responsabilità del costruttore, ai sensi dell'articolo 1669 del Codice Civile. Invece, se il danno riguarda singoli condòmini la responsabilità ricade sul condomìnio, ai sensi dell'articolo 2051 c.c., se si accerta, mediante perizia tecnica, il nesso causale. In particolare, se si accerta che è possibile riparare i danni derivanti dall'umidità intervenendo sia sulle pareti interne che esterne attraverso la costruzione di un'intercapedine, in presenza di una falda acquifera che può costituire una causa aggravante, la responsabilità ricade sul condomìnio, a meno che il nesso causale non sia stato interrotto dal condòmino danneggiato che ha effettuato lavori di coibentazione sulle parti comuni. In tal caso, la responsabilità ricadrà sul condòmino liberando il condomìnio (Tribunale di Livorno, sentenza n.688 del 23 giugno 2017). 

La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sulla questione con la sentenza n.19128/2021, pubblicata il 06/07/2021. Nel caso di specie, a seguito di una controversia intercorsa tra una condòmina ed il condomìnio, quest'ultimo è stato condannato, in appello, alla esecuzione dei lavori necessari ad eliminare le cause delle infiltrazioni. Infiltrazioni provenienti dalla falda freatica sottostante l'edificio condominiale che avevano danneggiato la proprietà esclusiva dell'attrice sita al piano seminterrato. La Corte di appello ha affermato che l'intercapedine dalla quale provenivano le infiltrazioni è di proprietà condominiale. Anche se il rialzo della pavimentazione eseguito dalla condòmina, che aveva contribuito alla stagnazione dell'acqua presente nell'intercapedine, poteva rilevare come concausa dei danni, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., il giudice di seconde cure ha riconosciuto alla condòmina il risarcimento dei danni per il mancato godimento dell'immobile, nella misura del cinquanta per cento. La sentenza è stata impugnata dal condomìnio che ha contestato la propria responsabilità. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile ritenendo la decisione della sentenza impugnata conforme alla giurisprudenza della stessa Corte secondo la quale è principio consolidato che il condomìnio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde ai sensi dell'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condòmini ( Cassazione Sez. 6 - 2, 12/03/2020, n. 7044). Altresì, ha ritenuto conforme all'orientamento consolidato della stessa il principio secondo cui la compressione o la limitazione del diritto di proprietà, causate dall'altrui fatto dannoso (nella specie, tracimazione di acqua proveniente da falda acquifera esistente nell'intercapedine sottostante l'edificio) sono suscettibili di valutazione economica, da parte del giudice di merito, non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio (cfr. Cassazione Sez. 2, 17/12/2019, n. 33439; Cassazione Sez. 2, 27/07/1988, n. 4779).