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Con sentenza n. 148 del 9 luglio 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 4, cod. proc. amm., nella parte in cui prevede che il giudice può disporre la rinnovazione della notificazione di un atto se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante (https://www.cortecostituzionale.it/actionRicercaSemantica.do).

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta alla Corte Costituzionale.

I fatti di causa.

Nel caso rimesso alla Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 4, cod. proc. amm. nella parte in cui detta disposizione limita la facoltà del giudice amministrativo di ordinare la rinnovazione della notificazione alle sole ipotesi in cui l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante. Secondo il Giudice amministrativo tale limitazione comporterebbe una violazione, tra gli altri, degli artt. 3, 24, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, per l'irragionevolezza e il difetto di proporzionalità della soluzione adottata, nonché per la lesione: a) del diritto di difesa e del suo corollario dell'effettività della tutela giurisdizionale; b) della garanzia di salvaguardia delle situazioni giuridiche soggettive e, in particolare, degli interessi legittimi; c) del diritto a un giusto ed equo processo. 

In buona sostanza, secondo il Consiglio di Stato, la notifica errata ha un rilievo formale che non può costituire un ostacolo all'effettiva tutela del diritto invocato nel giudizio con conseguente definitiva frustrazione i) della legittima aspettativa al conseguimento del "bene della vita" e ii) del giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco.

La decisione della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale ritiene fondate le questioni sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento ai principi di cui agli artt. 3, 24 e 113 Cost. In particolare, essa afferma che la discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite rappresentato dalla manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene superato qualora emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 102 del 2021, n. 253, n. 95, n. 80, n. 79 del 2020 e n. 271 del 2019) di cui all'art. 24 Cost. Con riguardo a quest'ultima norma, la Corte Costituzionale ha più volte precisato che il diritto alla difesa deve essere garantito senza che vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile il suo esercizio [...] o lo svolgimento dell'attività processuale (tra le tante, sentenze n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016). Ne consegue che non possono essere ritenute ragionevoli quelle norme che sacrificano in modo arbitrario l'esigenza di preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda e conducono a esiti sproporzionati rispetto al fine cui le norme stesse tendono. 

Nell'ambito del processo amministrativo, la suddetta sproporzione si evidenzia per l'effetto combinato che sull'esercizio del diritto di azione producono, da un lato, la denunciata limitazione alla rinnovazione della notifica e, dall'altro, la decadenza dall'impugnazione degli atti amministrativi allo spirare del termine di sessanta giorni di cui all'art. 29 cod. proc. amm. (ma anche dalla proposizione delle altre azioni per le quali è previsto un termine decadenziale). Orbene se il termine di decadenza dell'impugnazione ha la funzione di garantire stabilità degli effetti giuridici in quanto si vuole pervenire in tempi brevi alla definitiva certezza del rapporto giuridico amministrativo (Corte Cost sentenza n. 94 del 2017) e quindi attiene all'esercizio dell'azione, la nullità della notificazione, non integrando un elemento costitutivo dell'atto che ne forma oggetto, assolve a una funzione, strumentale e servente, di conoscenza legale e di instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che la nullità della notifica non può precludere il diritto alla difesa e per tale motivo è stato previsto il meccanismo processuale della rinnovazione della notifica che risulti affetta da vizi che non siano di gravità tale da decretarne l'inesistenza. Con l'ovvia ulteriore conseguenza che la limitazione, posta dall'art. 44, comma 4, cod. proc. amm., della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza. Se l'accertamento della nullità intervenisse dopo lo spirare di detto termine, la limitazione suddetta potrebbe comportare la perdita definitiva della possibilità di ottenere una pronuncia giurisdizionale di merito, con grave compromissione del diritto di agire in giudizio.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 4, cod. proc. amm. limitatamente alle parole «se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante».