CASS15

Con la recentissima sentenza n. 10799, depositata il 12 marzo 2019, la Corte di Cassazione, dando un nuovo esempio di disapplicazione di provvedimenti amministrativi in tema di edilizia e urbanistica, traccia la distinzione tra le normative applicabili in caso di rilascio di permessi in sanatoria.

Il giudice dell'esecuzione aveva rigettato l'istanza con cui il ricorrente chiedeva la revoca dell'ordinanza di demolizione emessa dalla procura generale della repubblica a seguito di una sentenza divenuta definitiva.

La procura aveva rilevato, infatti, come in relazione al manufatto abusivo fosse stato rilasciato un permesso di costruire in sanatoria, ma ne aveva escluso la legittimità sul rilievo che il rilascio era avvenuto nonostante il parere negativo – ritenuto vincolante – reso dalla soprintendenza.

Il ricorrente rilevava come il parere della soprintendenza fosse stato reso tardivamente e che pertanto non fosse più vincolante per l'amministrazione competente ad adottare il provvedimento. 

Questo, poiché era intervenuto il Consiglio di Stato che con una innovativa pronuncia in materia di rilascio di autorizzazione paesaggistica preventiva (regolata dal D.lgs. n. 42 del 2004, art. 146) aveva ritenuto che in questi casi il parere emesso tardivamente (oltre 45 giorni dalla soprintendenza) non fosse più vincolante per il comune.

La Corte dava atto nella motivazione del nuovo orientamento del Consiglio di Stato e sottolineava come in questi casi il parere perde il proprio carattere di vincolatività ma deve comunque essere motivatamente valutato dall'amministrazione procedente in relazione a tutte le circostanze rilevanti del caso per l'adozione del provvedimento finale.

Tuttavia, secondo la Corte, questo mutamento giurisprudenziale non rileva nel caso di specie per due ordini di motivi.

Anzitutto poiché il Consiglio di Stato nelle più recenti pronunce aveva tenuto in considerazione un quadro normativo differente da quello che trovava applicazione nel caso di specie.

In secondo luogo poiché la disciplina normativa richiamata dalla giurisprudenza amministrativa non può trovare applicazione nel caso in esame.

Nel caso di specie, infatti, si verte in tema di condono per abusi e trova applicazione la speciale disciplina normativa prevista dalla legislazione sul condono edilizio e non quella che regola il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica preventiva, rispetto ad interventi sui beni oggetto della speciale protezione il cui l'iter amministrativo può semmai estendersi al rilascio delle autorizzazioni in sanatoria previste dallo stesso D. Lgs. n. 42 del 2004 o, in via analogica, in materie in cui non vi sia una disciplina specifica.

Ma non è questo il caso. 

Peraltro, la disciplina del condono sul tema del valore del parere della Soprintendenza prevede, a differenza di quella oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato, che "Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto".

Ebbene è chiara la differenza tra le due discipline che, secondo la Corte, trova giustificazione nel fatto che "se può essere ragionevole consentire di superare l'inerzia della soprintendenza laddove la stessa, non pronunciandosi nel termine, rischi di bloccare l'iniziativa del privato che abbia scrupolosamente seguito il preventivo iter previsto, sottoponendolo ad un ingiusto aggravio procedimentale [ndr. tramite la perdita di vincolatività], ben si giustifica un più rigoroso regime laddove si tratti di sanare un illecito commesso, onerando in tal caso il trasgressore che voglia avvantaggiarsi degli effettivi della sanatoria di un più gravoso iter procedimentale che consenta in ogni caso di pervenire ad un effettivo vaglio di compatibilità paesaggistica dell'opera abusiva da parte dell'autorità preposta alla gestione del vincolo."

Come osserva la Corte, dunque, nell'ambito del procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria previsto dalla legge sul condono edilizio, poichè conseguente comunque ad un illecito già commesso, il legislatore ha ritenuto di concedere alla soprintendenza uno spatium deliberandi più ampio (180 giorni, anzichè 45) e ha previsto che il decorso del termine valga quale silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa, specificando senza possibilità di deroghe che il parere sfavorevole espresso dalla stessa soprintendenza preclude il rilascio del titolo in sanatoria.

Essendo applicabile nel caso di specie la disciplina speciale del condono, il parere reso dalla soprintendenza era da considerarsi come tempestivo e vincolante: impediva l'adozione di un legittimo provvedimento in sanatoria.

Ne consegue dunque che correttamente il giudice dell'esecuzione ha disapplicato il provvedimento comunale autorizzativo in quanto illegittimo, dando attuazione all'ordinanza di demolizione.

Da ciò deriva il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato.