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 L'articolo 27 del codice deontologico forense sancisce una serie di doveri informativi che l'avvocato deve rispettare nei confronti del cliente.

Tali doveri sono posti in virtù della diligenza richiesta al professionista che, come ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 8312/2011 deve essere consapevole del fatto che il cliente normalmente non conosce, o non è in grado di valutare, regole e tempi del processo; natura dei documenti e delle prove che debbono essere sottoposti al giudice per vincere la causa; possibilità o meno di raggiungere l'obiettivo con gli elementi di cui dispone. Tutto ciò significa che l'avvocato deve informare e fare in modo che il cliente possa comprendere e valutare i rischi dell'azione legale.

I doveri dell'avvocato indicati dall'articolo 27 costituiscono una sorta di "consenso informato" .

Innanzitutto vengono indicate le informazioni che deve fornire al momento dell'assunzione dell'incarico. Tale dovere si estrinseca nell'indicare le caratteristiche e l'importanza dell'incarico e delle attività da espletare; la prevedibile durata del processo e gli oneri ipotizzabili; la possibilità di avvalersi della negoziazione assistita e per iscritto di avvalersi del procedimento di mediazione nonché dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario previsti dalla legge; se ne ricorrono le condizioni la possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello stato.

L'avvocato è anche tenuto a rendere noti al cliente e alla parte assistita gli estremi della propria polizza assicurativa, ovvero quella a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione (obbligatoria ai sensi dell'art. 12 della L. 247/2012).

L'avvocato deve poi ogni qual volta gli venga richiesto informare il cliente e la parte assistita e fornire copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l'oggetto del mandato e l'esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, salvo la corrispondenza riservata tra colleghi (ex art. 48, terzo comma, del codice deontologico).

Il dovere dell'avvocato si estende anche ai sensi dell'art. 26 del CDF, in caso di incarichi che comportino competenze diverse dalle proprie di prospettare al cliente e alla parte assistita la necessità di integrare l'assistenza con altro collega in possesso di dette competenze. 

 In caso di violazione dei doveri di informazione, l'avvocato rischia di incorrere in sanzioni disciplinari che si diversificano in ragione dei doveri violati.

Ad esempio se il legale non fornisce le informazioni necessarie alla parte assistita all'atto del conferimento dell'incarico o ancora non renda noti gli estremi della sua assicurazione, rischia di incorrere nella sanzione disciplinare dell'avvertimento.

I doveri di informazione sono stati considerati dalla giurisprudenza parte del dovere generale di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni nell'esercizio dell'attività professionale ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c.

Il legale è tenuto ad indicare al cliente tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato, di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso. L'avvocato deve anche sconsigliare il cliente dall'iniziare o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole (Cass. n. 19520/2019).

Ed è lui a dover fornire la prova della condotta mantenuta.

L'obbligazione dell'avvocato è di mezzi non di risultato e la responsabilità professionale per la Cassazione n. 10289/2015 presuppone la violazione del dovere di diligenza media, esigibile ai sensi dell'articolo 1176 c.c., comma 2, violazione che non è né' esclusa né ridotta per la circostanza che l'adozione di tali mezzi sfavorevoli sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della strategia difensiva da seguire.

Anche questo aspetto, rientra nei doveri di informazione gravanti sul professionista anche nel corso dello svolgimento del rapporto e integranti sollecitazione, dissuasione e informazione dello stesso.

Recentemente Cassazione n. 16023/2002 ha affermato che "l'onere d'informare il cliente in ordine alle questioni di fatto o di diritto che impediscano o rendano difficoltoso il perseguire la realizzazione di un determinato interesse e ai rischi ai quali possa esporre il tentativo di tale realizzazione incombe sull'avvocato ove l'incarico professionale ricevuto e accettato abbia ad oggetto non un'attività giudiziale conseguenza immediata e diretta del conferimento d'un mandato ad litem, bensì un'attività stragiudiziale preordinata o meno che sia ad una successiva attività giudiziale, intesa alla formulazione d'un parere".

 In tal caso l'interesse del cliente è di ottenere gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni onde poter adottare la decisione più corretta, valutando rischi e vantaggi.

L'art. 27 del Codice di deontologia forense prevede l'obbligo dell'avvocato di informare il cliente anche in ordine ai percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, alle iniziative assunte e alle ipotesi di soluzione.

La sentenza n. 95/2022 del CNF ha confermato la sanzione irrogata dal CDD all'avvocato, che ha intrapreso arbitrariamente l'azione di merito per responsabilità medica dopo l'ATP anche se la cliente dichiara di aver comunicato la volontà di riflettere per decidere se proseguire o meno con l'azione giudiziaria. In questo modo risultano superati i limiti del mandato e violato il dovere di informazione di cui all'art. 27 del codice deontologico e l'avvocato è stato sospeso per un anno dall'attività professionale.

Il caso ha riguardato una signora che presenta un esposto al COA di Messina perché il suo legale che doveva difenderla da una causa di malasanità, aveva intrapreso una procedura di mediazione e poi una causa civile nonostante ella avesse conferito l'incarico solo in ordine a un accertamento tecnico preventivo.

Al termine dall'istruttoria il Consiglio Distrettuale di Disciplina contesta al legale la violazione degli articoli 9, 10 e 50 del Codice deontologico per aver intrapreso azioni per le quali la cliente non aveva conferito mandato, falsificando a tal fine addirittura la firma della signora e travalicando quanto stabilito nel mandato difensivo.

L'avvocato nel ricorrere al CNF chiede la riforma della decisione per mancata e completa valutazione delle prove prodotte e per assente volontarietà dell'azione. Egli sostiene di aver agito con correttezza perché la procura era generale, quindi ritiene di avere mandato ad agire anche per la successiva fase di merito

Il CNF respinge impugnazione dell'avvocato perché infondata.

Provato infatti il rilascio della procura alle liti solo per l'accertamento tecnico preventivo, dopo il deposito della relazione medica, la cliente comunicava di volersi prendere una "pausa di riflessione" per decidere se proseguire o meno l'azione.

La condotta ha quindi violato il dovere di informazione di cui all'articolo 27 ma anche il dovere di compere correttamente il mandato di cui all'art. 26.