I periodi di congedo di maternità e di congedo parentale devono essere contabilizzati ai fini di qualsiasi avanzamento di carriera ed illegittima, in quanto apertamente discriminatoria, è la condotta del datore di lavoro che, per qualsiasi ragione, ometta di farlo.
L´importante principio, a tutela delle lavoratrici madri ma anche degli uomini che, sempre più spesso, utilizzano il congedo parentale per prendersi cura dei propri figli, è stato stabilito dall Corte di Appello di Venezia con la recentissima sentenza numero 841 del 2018, della quale ha dato notizia Il Sole 24 Ore.
La Corte territoriale è stata investita di una controversia che ha interessato - quale parte resistente in primo grado ed appellante nel giudizio d´Appello - un´azienda di trasporto, tanto che il contratto assunto in considerazione è stato il ccnl per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali.
La Corte, tuttavia, proprio partendo dal testo disciplinare contrattuale, ha colto l´occasione, ricostruita la normativa di settore, per trarre delle conclusioni di carattere generale.
La vicenda da cui è scaturita la pronuncia odiernamente in commento può essere sintetizzata come segue. Una lavoratrice usufruisce dapprima del congedo di maternità e quindi, al termine del primo, di quello parentale. L´impresa datrice di lavoro, al momento di decidere sull´istanza, presentata dalla lavoratrice, di richiesta del livello retributivo superiore cui la stessa avrebbe avuto diritto in ragione della maturata anzianità di servizio, rigetta la richiesta per mancanza del requisito, argomentando che l´anzianità di servizio richiesta non sarebbe stata raggiunta in quanto a tali fini non avrebbero potuto essere conteggiati i periodi di congedo, sia quello per maternità sia quello parentale. La lavoratrice, a quel punto, presenta ricorso al Tribunale del lavoro che, con sentenza, le dà pienamente ragione qualificando la condotta dell´impresa come discriminatoria e stabilendo l´obbligo, da parte di questa, di ricalcolare l´anzianità di servizio della dipendente ricorrente includendo nella stessa, in modo pieno e senza alcuna riserva, i periodi di fruizione dei due congedi. L´impresa soccombente, a questo punto, propone appello avverso la suindicata sentenza, e la Corte territoriale, con la pronuncia in commento, conferma la statuizione del primo giudice pervenendo alle medesime conclusioni.
In particolare, secondo la Corte d´appello, la circostanza alla cui stregua i contratti collettivi di settore facciano riferimento, ai fini della progressione di carriera, al requisito dell´«effettivo servizio» e non invece a quello dell´anzianità di servizio non vale ad impedire che il periodo di fruizione dei congedi parentali non debba essere considerato ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, a tutti gli effetti.
Tanto più, ha rilevato la Corte, avuto riguardo alla giurisprudenza comunitaria, ed in particolare alla sentenza 595 del 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia Ue: «le disposizioni di attuazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego ... rilevano rispettivamente l´esclusione in via generale ed in termini inequivocabili di qualsiasi discriminazione basata sul sesso e prevedono che alla fine del periodo di congedo per maternità la donna abbia diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza» ed ancora, «l´accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento professionale, formazione, perfezionamento e riqualificazione professionali, nonché l´esperienza professionale, le condizioni di occupazione e di lavoro».
In ogni caso, dal comportamento del datore di lavoro era lecito trarre la percezione piena, ha rilevato ancora la Corte territoriale, della natura discriminatoria della misura, in quanto, contrariamente ai periodi di fruizione dei congedi, le assenze dal lavoro erano a tutti gli effetti computate nel calcolo dell´anzianità.
Da ciò è conseguito il rigetto dell´appello e la conferma della sentenza impugnata.