Imagoeconomica_1480716

Il divieto di uso di espressioni sconvenienti e offensive cui fa riferimento l'art. 52 del Codice deontologico va osservato sempre e a prescindere dal contesto in cui dette espressione sono usate e dalla veridicità dei fatti che ne costituiscono oggetto (Cass., Sez. Un., n. 11370/2016). E ciò soprattutto ove le stesse manifestino apprezzamenti denigratori sull'attività svolta da altri colleghi.

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 13168 del 17 maggio 2021.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è un avvocato che ha proposto ricorso al Consiglio Nazionale Forense (CNF), per sentir annullare la decisione del Consiglio dell'Ordine di appartenenza che lo aveva dichiarato responsabile per aver posto in essere una condotta illecita, consistita nell'invio, a una pluralità di destinatari, di una lettera raccomandata contenente espressioni sconvenienti, offensive e denigratorie nei confronti dei suoi colleghi. È accaduto che il CNF ha rigettato l'impugnazione.

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto occorre far rilevare che il Codice deontologico forense è ispirato ai doveri di probità, dignità e decoro, quali canoni generali. Ne consegue che tutte le condotte di un avvocato devono essere sempre poste in essere nel rispetto di tali canoni, quali regole di comportamento da osservare nell'esercizio dell'attività professionale e in particolare nei rapporti con i colleghi

In forza di tali regole, un avvocato dovrebbe:

  • evitare l'uso di espressioni sconvenienti od offensive non solo negli scritti processuali, ma nell'attività professionale in genere (art. 52 Codice deontologico forense);
  • astenersi dall'esprimere apprezzamenti denigratori sulla attività professionale altrui (art. 42 Codice deontologico forense) indipendentemente dalla veridicità dei fatti addebitati ai predetti avvocati.

Orbene, tornando al caso in esame, l'avvocato ricorrente con la sua condotta ha violato le suddette regole, ponendo in essere un comportamento illecito deontologicamente:

  • sia sotto il profilo oggettivo a causa del tenore irriguardoso e dispregiativo dello scritto, implicitamente evocante un infedele patrocinio;
  • sia sotto il profilo soggettivo per l'intento, rivendicato dallo stesso incolpato, di esprimere apprezzamenti negativi sulla personalità e il patrimonio morale dei colleghi offesi.

A tal proposito, occorre precisare che in tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato, un professionista non dovrebbe mai utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive, dato che il divieto in questione è stato previsto a salvaguardia della dignità e del decoro della professione. Un divieto che non dovrebbe mai essere violato neanche dinanzi a comportamenti criticabili o perfino illeciti dei colleghi o di terzi. In queste ipotesi, secondo la Suprema Corte, l'avvocato dovrebbe esprimere il suo biasimo in modo rispettoso della personalità e della reputazione altrui, astenendosi da ingiustificata animosità e da toni irriguardosi, e ciò indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della sua condotta

E tanto perché ai fini di un ordinato e corretto esercizio della professione forense, l'avvocato deve comportarsi in modo obiettivo, elevandosi al di sopra delle parti e fornendo al proprio cliente solo un contributo tecnico per la risoluzione della lite senza andare oltre i limiti invalicabili dettati dal necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo (cfr. Cass., Sez. Un., 19/01/1991, n. 520). Il divieto in esame, tra l'altro, ad avviso dei Giudici di legittimità, non si pone in contrasto con il diritto, tutelato dall'art. 21 Cost., di manifestare liberamente il proprio pensiero in quanto tale diritto non è assoluto e insuscettibile di limitazioni. Esso, infatti, incontra concreti limiti nei concorrenti diritti dei terzi e nell'esigenza di tutelare interessi diversi, anch'essi costituzionalmente garantiti. Il dovere di attenersi a criteri di moderazione nella manifestazione delle proprie opinioni non incontra un limite neppure nella tutela del diritto di difesa, e segnatamente nell'adempimento degli obblighi d'informazione connessi all'espletamento del mandato difensivo, imponendosi anche nella corrispondenza con il proprio cliente, nella quale l'eventuale dissenso dalle opinioni espresse o dalle strategie difensive adottate da altri avvocati e la critica di comportamenti processuali o extraprocessuali da questi ultimi tenuti non possono mai eccedere la finalità informativa della comunicazione, che deve risultare non solo veritiera nel contenuto, ma anche pertinente all'adempimento dell'incarico professionale e continente nei toni usati.

Nel caso di specie, il ricorrente si è discostato dai predetti canoni e, pertanto, secondo la Corte di Cassazione, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso è infondato e va respinto.