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La radiazione dell'avvocato dall'albo è la sanzione che viene inflitta per condotte gravi «che rendono incompatibile la permanenza dell'incolpato nell'albo, elenco o registro». Essa consiste «nell'esclusione definitiva dall'albo, elenco o registro e impedisce l'iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro» [1]. Data la portata di tale trattamento sanzionatorio, occorre che la condotta contestata sia grave e che si configuri in una reiterata violazione dei fondamentali e più cogenti doveri professionali attuata dall'incolpato con pervicacia e senza resipiscenza (CNF, n. 8/2019).

La decisione del CNF di infliggere la radiazione e l'immediata esecutività

Se una sentenza del Consiglio nazionale forense (CNF) infligge la sanzione della radiazione, poiché le decisioni di detto Consiglio sono immediatamente esecutive (salva la sospensione eventualmente disposta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione), il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati (COA) deve darne tempestiva esecuzione. Questo sta a significare che «il COA deve provvedere a eliminare il nominativo del condannato dall'albo, dando comunicazione e pubblicità all'esecuzione della sanzione nelle forme previste dall'ordinamento forense. A ciò non ostano le disposizioni in materia di divieto di cancellazione in pendenza di procedimento disciplinare, le quali riguardano la sola cancellazione amministrativa, sia essa disposta d'ufficio o su istanza dell'iscritto. 

Diversamente opinando, si rischierebbe infatti di vanificare sine die l'operatività della sanzione della radiazione», consentendo all'avvocato che ha posto in essere condotte gravi di continuare a far parte della comunità professionale e quindi di esercitare la professione (Consiglio nazionale forense, parere n. 55 del 15 novembre 2019).

Ma vediamo quando è inflitta la radiazione.

La radiazione nella prassi

Si ritiene che:

  • costituisce gravissima violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 cdf) suscettibile di essere sanzionata con la radiazione dall'albo, il comportamento dell'avvocato che millanta un credito verso il giudice della causa e garantisce l'esito favorevole al proprio cliente «a fronte del pagamento illecito di una ingente somma di denaro, da destinare asseritamente al giudice stesso e comunque poi trattenuta per sé». In tali casi la condotta in esame è connotata da un elevato grado di disvalore tanto da renderla incompatibile con la permanenza dell'iscrizione all'albo (CNF, n. 135/2019);
  • è sanzionabile con la radiazione dall'albo l'avvocato che utilizza le proprie conoscenze giuridiche per commettere gravi reati, perseguendo fini illeciti. In tali casi, il comportamento del professionista distorce completamente il ruolo dell'avvocato tanto da causare una lesione all'immagine e al decoro dell'intera categoria professionale. Si tratta, in buona sostanza, di un «comportamento incompatibile con il giuramento e l'impegno solenne di cui all'art. 8 L. n. 247/2012, per l'assoluta violazione dei principi di lealtà, probità, dignità e decoro, che legittima il suo definitivo allontanamento dalla comunità professionale» (CNF, n. 109/2019);
  • l'avvocato che carpisce la fiducia dei propri clienti, utilizzando la sua professione, e perpetra in danno di questi ultimi comportamenti riprorevoli, attuando raggiri, artifici e destrezza, pone in essere una gravissima violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 cdf), tale da rendere incompatibile la permanenza dell'iscritto nell'albo. In queste ipotesi, la condotta dell'avvocato compromette «gravemente l'immagine che l'avvocatura deve mantenere al fine di assicurare la propria funzione sociale» e per tale motivo, detta condotta merita la massima sanzione disciplinare (CNF, n. 79/2019);
  • «costituisce gravissima violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 cdf), tale da rendere incompatibile la permanenza dell'iscritto nell'albo forense, il comportamento dell'avvocato che, in violazione della normativa antiriciclaggio, costituisca trust all'esclusivo fine di sottrarre beni al ceto creditorio, e compia quindi attività consapevolmente finalizzate alla realizzazione di operazioni illecite e alla conclusione di negozi fraudolenti, così compromettendo la dignità della professione e l'affidamento dei terzi» (CNF, n. 1/2018);
  • l'avvocato che, nell'esercizio della funzione di magistrato onorario, deleghi terzi per far redigere le sentenze al fine di lucrare maggiori guadagni per garantirsi il maggior numero di provvedimenti o per favorire una delle parti, anche in violazione delle norme sulla competenza territoriale e per valore, pone in essere una condotta che compromette l'immagine e la reputazione dell'intero ceto forense. In tali casi, pertanto, si ritiene congrua la sanzione disciplinare della radiazione (CNF, n. 310/2016).


Note

[1] Art. 22 Codice deontologico forense