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L'uso dell'Intelligenza Artificiale si sta diffondendo nella professione forense in quanto strumento di ausilio per gli avvocati, potendo velocizzare ad es. i tempi di ricerca giuridica. Tuttavia, occorre sempre tenere a mente che l'Intelligenza Artificiale lo scopo di tale strumento è quello di migliorare la professione forense e sostituirsi agli avvocati, i quali potrebbero subire le conseguenze negative per un uso distorto di tale strumento, quale ad es. la condanna per responsabilità aggravata ex art.96 c.p.c. per la parte soccombente che abbia ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
Analizziamo i primi provvedimenti giurisprudenziali in materia:
- l'Ordinanza del Tribunale di Firenze, Sez. Imprese, del 14 marzo 2025;
- la Sentenza del Tribunale di Torino n. 2120 del 16 settembre 2025.
L'Ordinanza del Tribunale di Firenze
Con Ordinanza del 14 marzo 2025 il Tribunale di Firenze, Sez. Imprese, ha affrontato per la prima volta le conseguenze giuridiche e deontologiche legate all'utilizzo dell'Intelligenza artificiale nella redazione degli atti processuali.
I fatti del giudizio. Nel caso analizzato dal Tribunale di Firenze in materia di contraffazione, il difensore della società reclamata ha utilizzato nella redazione dell'atto processuale l'Intelligenza Artificiale, precisamente "ChatGPT", che ha generato risultati errati, avendo inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all'aspetto soggettivo dell'acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento.
Questi errori commessi dall'Intelligenza Artificiale possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica quando l'Intelligenza Artificiale inventa risultati inesistenti, ma che, anche a seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri.
Al riguardo la reclamata 1) ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali erronei citati nell'atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell'intelligenza artificiale, del cui utilizzo non era a conoscenza, 2) ha riconosciuto l'omesso controllo sui dati così ottenuti, 3) ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva.
La controparte, per contro, sottolineando l'abusivo utilizzo dello strumento processuale, ha chiesto la condanna della reclamata ex art. 96 c.p.c. per aver influenzato la decisione del collegio.
La decisione del Tribunale di Firenze. Il giudice ha ritenuto non applicabili le disposizioni di cui all'art. 96 c.p.c., in quanto ha rilevato che l'indicazione degli errati riferimenti giurisprudenziali creati dall'Intelligenza Artificiale è stata posta a fondamento della tesi ab origine sostenuta dalla parte e, quindi, proposta a supporto di una struttura difensiva rimasta immutata sin dal primo grado del giudizio. Tale indicazione, pertanto, oggettivamente non è stata finalizzata a influenzare il collegio.
Inoltre, il Tribunale di Firenze ha escluso l'applicabilità dell'art.96 commi 1 e 3 cpc in quanto:
- in linea generale deve ritenersi che il comma 1 dell'art. 96 c.p.c., abbia natura extracontrattuale, poiché "richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa" (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 9080 del 15 aprile 2013) e, "pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall'improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni" (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013);
- il comma 3 dell'art. 96 c.p.c., mira ha disincentivare l'abuso del processo, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall'abusività della condotta processuale;
- il reclamante non ha provato i danni subiti a causa dell'attività difensiva espletata dalla controparte.
La sentenza del Tribunale di Torino
Con sentenza n. 2120 del 16 settembre 2025 il Tribunale di Torino, sezione Lavoro ha condannato un avvocato ai sensi dell'art.96 commi 3 e 4 per aver agito in giudizio con malafede o, quantomeno con colpa grave.
Nel caso sottoposto all'attenzione del Tribunale di Torino, il difensore
- ha proposto opposizione nei confronti di avvisi di addebito che erano stati in precedenza notificati nonché erano già stati oggetto di plurimi atti di esecuzione anch'essi tutti regolarmente notificati e
- ha sollevato eccezioni tutte manifestamente infondate "tramite un ricorso redatto "col supporto dell'intelligenza artificiale", costituito da un coacervo di citazioni normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico e in larga parte inconferenti, senza allegazioni concretamente riferibili alla situazione oggetto del giudizio".
Il giudice ha, pertanto, ritenuto sussistenti i presupposti per l'applicazione della responsabilità aggravata sensi dell'art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. e ha condannato la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore di ciascuna delle parti convenute, nonché al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della cassa delle ammende.