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Con ordinanzan. 21865 del 7 settembre 2018, la Corte di Cassazione ha affermato che con riferimento alle attività svolte in Italia da modelli e modelle non residenti nel nostro Stato, non consistendo in prestazioni di artisti dello spettacolo, in quanto hanno ad oggetto la presentazione di un prodotto per la commercializzazione attraverso pose e atteggiamenti, il relativo compenso da essi percepito non è soggetto ad imposizione in Italia, trattandosi di attività di lavoro autonomo. E ciò in applicazione dello schema di convenzione OCSE, che prevede la tassazione del reddito da lavoro autonomo solo nello Stato di residenza e non nello Stato dove si è percepito il compenso. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità.

Una società italiana, per presentare i suoi prodotti, si è avvalsa di modelli residenti in Svizzera, per il cui ingaggio si è rivolta ad una agenzia ad hoc svizzera, senza stabile organizzazione in Italia. La società italiana ha considerato i compensi corrisposti ai modelli esenti da ritenute IRPEF. Tale considerazione è stata reputata erronea dall'agenzia delle entrate che, pertanto, ha notificato alla ricorrente i relativi avvisi di accertamento, contro i quali quest'ultima ha proposto ricorso. Sia in primo che in secondo grado, detti avvisi sono stati annullati in quanto è stato ritenuto che le prestazioni di modelli che risiedono all'estero rientrino nell'ambito del lavoro autonomo, secondo quanto previsto dal modello OCSE, con l'ovvia conseguenza che non sono soggette a imposizione nel paese in cui vengono percepiti, ma solo in quello di residenza. Tale discorso vale sia per i compensi percepiti da modelli – persone fisiche che per i compensi percepiti dalle agenzie di modelli intermediarie, che non abbiano una stabile organizzazione in Italia. Alla luce di tali argomentazioni, l'agenzia delle entrate, non condividendole, ha deciso di impugnare il provvedimento del giudice di secondo grado e il caso è giunto all'esame della Suprema Corte. 

La ricorrente sostiene che gli avvisi di accertamento non andavano annullati in quanto i compensi in questione andavano assoggettati ad imposizione IRPEF, essendo riferibili ad attività di lavoro svolta in Italia. A parere dell'agenzia delle entrate, non trova applicazione nel caso in esame lo schema di convenzione OCSE perchè, a suo dire, si tratta di un modello normativo astratto che di per sé non costituisce fonte di diritto, né è idoneo a derogare il diritto interno, limitandosi piuttosto a prevedere linee guida per i singoli Stati. In forza di tali considerazione, pertanto, la ricorrente ha chiesto la riforma della sentenza impugnata. Orbene, i Giudici di legittimità, innanzitutto, partono dall'esame del combinato disposto degli artt. 3 e 23, comma 1), lett. d) del d.p.r. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi). Tali disposizioni stabliscono che i redditi dei soggetti non residenti sono tassati nel territorio dello Stato se i) derivanti da attività svolte in Italia; ii) sono redditi di lavoro autonomo. L'esame della Suprema Corte continua, puntando l'attenzione sul modello OCSE e in modo particolare:

  • sull'art. 14, secondo cui in tema di lavoro autonomo, "i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall'esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato [...]";
  • sull'art. 17, secondo cui il reddito percepito dagli artisti per l'attività esercitata in altro Stato, può essere tassato sia in questo Stato che in quello di residenza.

Partendo da questo quadro normativo, i Giudici di legittimità affermano che l'attività di modelli e modelle è un'attività diversa da quella svolta dagli artisti, essendo:

  • destinata alla realizzazione di video pubblicitari o sfilate e non all'intrattenimento del pubblico;
  • di carattere personale, tipica dei prestatori di lavoro autonomo.

Tornando al caso in esame, la Suprema Corte esclude che le attività oggetto di causa rientrino nell'ambito di applicazione del suddetto art. 17 del modello OCSE, con l'ovvia conseguenza che il compenso corrisposto dalla società italiana ricade in quello di reddito di lavoro autonomo, non soggetto a IRPEF e all'obbligo del sostituto di imposta di effettuare la ritenuta alla fonte sul compenso. Tale convincimento non è neppure indebolito dalla circostanza lamentata dalla ricorrente, secondo cui il modello OCSE non costituisce fonte di diritto e ciò in considerazione del fatto che, a parere dei Giudici di legittimità, la società italiana e i soggetti percettori i compensi risiedono in Stati che hanno stipulato convezioni che consentono proprio l'applicabilità della disciplina del suddetto modello. A tal proposito, inoltre, la Corte di Cassazione rammenta che esiste la Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera, recepita con L. n. 948 del 1978, che prevede, conformemente al modello OCSE, all'art. 7, che "gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili solo in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata", e all'art. 14, stabilisce che i redditi derivanti dall'esercizio di una libera professione o di altre attività indipendenti di carattere analogo esercitate in uno Stato contraente diverso da quello di residenza, sono imponibili solo nello Stato residente, a meno che non si disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio di tale attività. Da tanto appare evidente che tali norme si applicano perfettamente al caso in esame e ciò soprattutto laddove si consideri che la ricorrente non ha contestato:

  • da un lato, l'inquadramento delle prestazioni dei modelli in quelle di carattere personale e di lavoro autonomo;
  • dall'altro, il fatto che l'agenzia intermediaria di modelli non avesse una stabile organizzazione in Italia e quindi non fosse dotata di un proprio rappresentante fiscale in loco.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza di secondo grado.